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Schmeisser (Kurzfassung) da Luca Mannurita blog

Der letzte Teil


Aprì gli occhi di scatto, sobbalzando.

Si era appisolata. Si umettò le labbra disidratate. Il sole la colpiva attraverso il finestrino del treno e la veletta di pizzo del suo nuovo cappello da viaggio non la riparava granché.

Con un solo sguardo perquisì il compartimento dove si trovava. Nessun viaggiatore seduto con lei, nessun bagaglio oltre la sua borsa. Si tranquillizzò un poco.

Non voleva addormentarsi: non doveva farlo. Anche se aveva dormito poco, anche se era stanca e indolenzita in ogni punto del corpo. Non si sentiva ancora abbastanza al sicuro. Si rimproverò subito per quel pensiero sciocco. Era tutto finito invece. Non doveva temere più nessuno.

Con la memoria andò indietro ai fatti della sera prima. Rivisse tutto come guardando una pellicola troppo veloce la lotta con gli emissari di diverse superpotenze europee. Chissà se l'avevano davvero tutti scambiata per una spia dello Zar di Russia. Le si strinse il cuore al pensiero della fine di Eric, tanto da sentire dolorose lacrime affiorarle agli occhi. Oh, come avrebbe voluto che le cose fossero andate diversamente!

Ma l'edificio di mattoni era crollato seppellendo tutto sotto le macerie. Tutto tranne lei, Maria e i progetti degli arti meccanici, trafugati dalla spia britannica avendoli forse scambiati per quelli della corazza gigante.

Veruska si abbandonò contro lo schienale e si lasciò cullare dal treno che procedeva spedito.

Era fuggita coi disegni di Schmeisser. Si era rifugiata in un albergo di poche pretese a dormire. Sonni ricchi di incubi e intervallati da lunghi crisi di pianto. La mattina era andata a comprare un biglietto per il primo treno.

Non voleva più sentire parlare di Kräaftenburg, di Villa Schmeisser e di fabbriche. Ne aveva avuto abbastanza. Di una sola cosa era contenta: di essersi sbarazzata del tubo metallico, ma non dei progetti che conteneva. Le parole dell'uomo l'avevano colpita profondamente: la tecnologia del metallo, la potenza del vapore e l'energia elettrica dovevano essere unite tra loro per la creazione di opere benefiche, non per creare altre armi. Mors tua vita mea. Era ora che qualcuno dicesse basta, che questo meccanismo perverso venisse fermato.

Sì, era deciso: avrebbe fatto in modo che così fosse.

Aprì gli occhi di scatto, sobbalzando.

Si era appisolata di nuovo. Il treno correva sempre velocissimo. Il sole si era alzato e non riusciva più a raggiungerla. Le membra cantavano ancora in vivace coro il loro malcontento. C'era qualcuno nello scompartimento.

- Buongiorno, mia cara Veruska.

Il tedesco dell'uomo era quasi perfetto. Si tradì con la pronuncia del nome: era uguale a quella di sua madre. Il ricordo della sua dolce genitrice eclissò subito nella paura e nello spavento.

L'uomo la guardava sorridendo. Aveva superato abbondantemente la cinquantina e si vedevano i primi fili grigi nei capelli tagliati corti in stile militare. Aveva occhi di giaccio e il viso rasato era largo e squadrato. Indossava un completo blu scuro sopra un gilet nero dai bottoni d'argento; dal taschino pendeva la catenella dell'orologio. Un Ascot nero decorato da una spilla d'argento era portato morbidamente intorno al collo.

Veruska lo guardò bene due volte: si era tradito. Quelle mani: posate su un bastone dal pomo bianco a testa di levriero erano segnate, grandi, ruvide, forti. Mani da soldato.

- Chi siete? Che volete? Come sapete il mio nome? - Veruska soffiò quelle domande tutte d'un fiato, con lo stomaco freddo e serrato dalla paura.

- Le mie scuse, mademoiselle... il mio nome è Ivan Grimovski, capitano di artiglieria dell'esercito del Popolo. Per servirla.

Accennò un inchino col capo, ma ostentava il sorriso di un coccodrillo. Sembrava una molla compressa: pronta a scattare.

- Non ho nulla che possa interessare il suo popolo o... il suo Zar, capitano.

Il sorriso del soldato si fece un poco più caldo, gli occhi brillarono di soddisfazione.

- Vengo da una famiglia di contadini e mio padre mi ha insegnato il prezzo del lavoro e il valore del tempo. Apprezzo sempre chi sa cos'è il primo e non spreca il secondo.

Sorrise ancora e poi disse con disinvoltura sconcertante:

- Che ne dice di diecimila corone svedesi? O preferisce i franchi svizzeri?


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Da Luca Mannurita
Aggiunto Feb 17 '15

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