Der dritte Teil
Il sole era giunto poco oltre la metà della sua discesa verso le verdi colline quando Veruska decise di sgranchirsi un po' facendo una passeggiata. Si allontanò ulteriormente dalla villa esplorando il giardino e ne raggiunse il limitare. Passò sotto un arco festoso di bouganville viola. Sotto i suoi piedi il selciato bordato di ghiaia bianca si interruppe sostituito dal morbido terreno verde d'erba rigogliosa. Aboliti i geometrici confini delle siepi, sparite le fontanelle e i sentieri puliti e delimitati da piante di bordura, a Veruska parve di essersi inoltrata in uno dei boschi fatati di cui aveva letto nelle pagine del libro che ancora teneva tra le mani. Si inoltrò tra gli alberi ben tenuti esplorando tranquilla e placida, rincuorata dalla luce del sole che non aveva difficoltà a giungere fino al terreno. Di tanto in tanto si voltava indietro per controllare che si vedessero ancora le pallide mura di Villa Schmeisser.
Quasi non si accorse che il terreno cominciava a digradare e a diventare più aspro. Frulli d'ali sempre più vicini e l'erba che si faceva più alta e umida per la pioggia caduta abbondante nei giorni precedenti. Era palese che quella parte del parco fosse poco frequentata dai giardinieri e che la sua passeggiata dovesse terminare lì. Tornò sui suoi passi, o così credette di fare. Quando pensò di trovarsi in vista della villa si rese conto con spavento che non lo era affatto. Il luogo le era familiare ma la sua memoria la ingannava. Che sciocca, si rimproverò. Troppo svagata e con la testa fra le nuvole! Subito la consapevolezza di essersi smarrita le morse il petto ma non volle arrendersi. Mantenendo un buon passo cercò di ritrovare la via smarrita. Fece appello agli espedienti narrati nei libri divorati nella sua fanciullezza e che ancora prediligeva, ma la posizione del sole nel cielo rimase un enigma e no, non si era proprio ricordata di portare con sé un gran gomitolo di filo da svolgere passo per passo per poter ritrovare la via nel labirinto. A stento si rincuorò al pensiero che il mostruoso minotauro era solo un antico mito.
Il sole si abbassava a velocità sorprendente ora che la pungeva la fretta e l'ansia di rientrare. Verranno a cercarmi, pensò vedendo le ombre allungarsi sempre più, in fuga dal sole al tramonto. Con torce elettriche e chiamandomi a gran voce, si augurò vedendosi cinta d'assedio dalle prime ombre della sera che le scivolavano addosso come inchiostro.
Stanca, infreddolita, appoggiata al tronco di un albero per vincere la pendenza del terreno, Veruska giunse a un passo dallo sconforto. Ancora poco e sarebbe stato così buio tra gli alberi che a stento avrebbe potuto distinguere mani e piedi. C'erano alberi ovunque attorno a lei, fruscii spettrali tra le loro chiome. Il terrore dei pipistrelli montò improvviso dentro di lei rischiando di gettarla nel panico: non ci aveva pensato fino a quel momento.
Calma, si disse. Sono figlia di un'era moderna e i vampiri esistono solo nei libri. Si guardò intorno: nessuna luce, nessun punto di riferimento. Qualsiasi direzione era indistinguibile da un'altra. Qualcosa le volò sopra la testa facendola gemere per lo spavento come una bambina. Si chinò, le mani tra i capelli, e non poté vedere da dove erano sbucate all'improvviso le luci.
Il classico sibilo di un'auto a vapore, le luci dei fari che tagliavano veloci il buio sotto di lei, oltre gli alberi. Pochi istanti e si trovò a guardare con gioia le rosse luci di posizione, occhi brillanti e un po' diabolici che si allontanavano da lei. C'era una strada poco più sotto.
Rischiando una brutta storta a una caviglia Veruska discese in direzione della strada che non poteva vedere, ma che doveva esserci per forza. Finalmente le suole delle sue scarpe si posarono senza preavviso sull'asfalto. Alla luce delle stelle riuscì a distinguere la strada. Stanca e con le gambe indolenzite si incamminò lo stesso di buona lena. Avrebbe chiesto aiuto a un veicolo di passaggio.
Fu la luce a distrarla dai suoi propositi. La vide aumentare poco a poco al di là di una curva. Vi giunse col petto che rimbombava per i battiti del cuore esultante. Un edificio industriale di mattoni rossi: tutte le finestre erano illuminate. C'era dell'attività al suo interno, era evidente. Si sentiva un forte ronzio elettrico in alto nell'aria, qualcosa sfrigolava. Cavi elettrici, alta tensione. C'era una cabina elettrica lì vicino che alimentava i macchinari nell'edificio.
Individuò la porta nella faccia che l'edificio industriale le rivolgeva. I suoi piedi però si rifiutarono di muoversi. Le ginocchia si piegarono e tutto il corpo si chinò in avanti acquattandosi istintivamente. Nonostante il buio aveva scorto del movimento. Due figure erano già presso la porta con fare sospetto. Proprio mentre le guardava quelle entrarono nell'edificio.
Se ne stette lì inginocchiata allo scoperto, protetta solo da un velo di buio minacciato dalla luce elettrica che pioveva dalle vetrate del grande capannone. L'unico posto dove avrebbe potuto trovare aiuto e rifugio aveva ora un'aria minacciosa, inquietante. Tremava, non solo per il freddo. Non poteva certo starsene lì fuori ma nemmeno ficcare il naso in affari che non la riguardavano.
Decise che avrebbe aspettato un momento migliore. Si avvicinò: ma una volta nei pressi della porta furono le voci a farle cambiare idea.
Le riconobbe subito: erano i due misteriosi visitatori che avevano discusso col Signorino. Un'altra voce nota stava rispondendo loro, pacatamente. Eric Schmeisser, non aveva dubbi.
Veruska non seppe giustificarsi nemmeno con se stessa. Fu il suo intuito a dirle che Eric Schmeisser poteva essere in pericolo. Non esitò e aprì la porta con cautela.
- È finita, Schmeisser. Consegnerà i progetti a noi, immediatamente!
- No! Non vi impadronirete anche di questo – fu la calma risposta dell'uomo. Veruska non poteva vedere niente: un tramezzo di mattoni cementati da calce e mai intonacati le sbarrava la vista verso l'interno del capannone, ben illuminato da molteplici lampade elettriche. Il tramezzo era alto circa tre metri e non arrivava certo al soffitto; questo svettava altissimo sopra la sua testa ricco di tralicci, scale, passerelle, rotaie, condotte di scarico del vapore che si facevano strada verso il tetto e passatoie per cavi elettrici che serpeggiavano ovunque. Catene e pulegge per sollevare grandi carichi penzolavano da un carro ponte che aveva qualcosa di pesante agganciato ai verricelli più potenti. Robustissime catene triple erano in tensione ad angoli diversi, ma il tramezzo le impediva di vedere di che cosa si trattasse.
Si fece forza e si sporse di pochissimo per sbirciare.
Erano proprio i due uomini che erano stati alla villa quella settimana. Le offrivano il fianco e fronteggiavano decisi Eric Schmeisser.
Ritto in piedi.
Su gambe di acciaio e ottone.
Paralizzata dall'orrore e dalla sorpresa, non potè fare a meno di osservare quella straordinaria e spaventosa figura. Eric Schmeisser se ne stava ritto in piedi, la camicia bianca sporca di grasso e sudore, le maniche arrotolate sopra i gomiti tese intorno a massicci muscoli. Attraverso la camicia sbottonata si intuiva il petto ampio e poderoso. Sul viso stanco e lucido di sudore spiccavano profonde occhiaie scure, la barba chiara e sporca, lucidi occhi febbrili e la mascella larga e decisa. Aveva segni di nerofumo sulla fronte e gli tremavano le labbra.
Si appoggiava a una comune stampella e i moncherini delle gambe stretti nei pantaloni cuciti appositamente erano infilati in due protesi meccaniche: un intrico di molle, pistoni e tiranti che gli occhi di Veruska non riuscivano a cogliere del tutto.
- Non ci costringa ad agire, Schmeisser: non opponga resistenza. Noi rappresentiamo l'autorità del Kaiser!
- Ma non capite? Il Kaiser e tutta la nazione ricaveranno molto di più da tutto questo se verrà usato per ciò che io ho progettato. Per creare e non per distruggere!
- Adesso basta, Schmeisser! Nel nome del Kaiser August Gustav von Richter III, prendo possesso del suo progetto, del prototipo da lei costruito e di tutto ciò che si trova dentro e fuori questo edificio! Le ordino di collaborare!
Veruska vide l'uomo con la barba a punta estrarre una pistola brutta e squadrata da sotto il pastrano e spianarla contro Eric Schmeisser.
Ancora una volta fu il suo istinto a decidere per lei. Senza nemmeno sapere esattamente cosa stava facendo, vinta dall'impulso protettivo nei confronti del giovane, saltò fuori dal suo nascondiglio e si gettò a mani tese sul braccio che impugnava la pistola.
Vi fu un rapido parapiglia: Veruska era terrorizzata dalle armi e a stento riuscì a opporre resistenza. I due uomini ebbero ragione di lei in poche mosse, ma lo scompiglio da lei creato ebbe risultati sorprendenti.
- Sua Maestà Vittoria, Regina d'Inghilterra vi porta i suoi omaggi e ringrazia sentitamente!
Veruska trattenuta a terra alzò lo sguardo imitando i due agenti del Kaiser. Su una passerella prossima al soffito c'era l'autista di Lord Schmeisser, sorridente. In mano stringeva un tubo dorato: certamente si trattava di qualcosa di importante. Così importante che l'agente armato di pistola esplose contro la spia britannica tre fragorosi colpi in rapida successione. Nessuno di questi andò a segno.
- Attenzione!
Veruska ebbe le mani libere, ma non il tempo di gioire.
Era così grosso che ai suoi occhi era passato inosservato.
Un enorme automa metallico alimentato da motori elettrici e reso potente da cilindri azionati dal vapore cominciò a muoversi, prigioniero delle catene dei verricelli che lo mantenevano in posizione eretta. Aveva braccia lunghissime e gambe tozze, era irto di meccanismi di ogni genere: valvole che si aprivano e scaricavano l'eccesso di pressione, ruote dentate sporche di grasso bruno, cinghie multiple avvolte e incrociate su pulegge cui si accoppiavano nere catene di trasmissione larghe quanto una mano. Era chiaramente incompleto.
Era controllato da Eric Schmeisser, che se ne stava dietro i comandi nel torace cavo dello smisurato essere di metallo.
Tutto sommato il minotauro esiste, pensò Veruska.
Uno dei bracci avvinto dalle catene dei paranchi si alzò tra gemiti elettrici e soffi di vapore per poi calare con straordinaria e inattesa velocità. Lo strattone che diede alle catene si trasmise alle rotaie del carro ponte che si piegarono. Il pesante congegno di sollevamento si inclinò insieme alla passerella scelta dalla spia inglese come via di fuga. Per sostenersi e non cadere da quella vertiginosa altezza quello fu costretto a lasciare precipitare il cilindro di metallo che sparì alla vista tra i macchinari posati con ordine sul pavimento del capannone.
Il minotauro di Schmeisser nel frattempo si era liberato del tutto. Non era in grado di sostenersi ritto sugli arti inferiori quindi cadde in avanti, a quattro zampe. Essendo le braccia più lunghe delle tozze gambe senza ginocchia, riusciva a mantenere una posizione quasi eretta.
- Via! Tutti via! - sbraitò il giovane Eric alzando un braccio e menandolo a mò di martello contro l'agente del Kaiser che gli stava puntando contro la pistola. Quello dovette ripararsi per non perire schiacciato.
Strisciando a quattro zampe, terrorizzata dal caos e dal frastuono di metallo che cigolava, dai colpi che martellavano il pavimento di cemento e dal rumore orribile dei motori di quel minotauro meccanico, Veruska si era trovata con le spalle al muro. La paura le aveva paralizzato il cervello e strillò come un ossesso quando le rotaie del carro ponte, danneggiate irreparabilmente, cedettero di schianto sotto il peso delle attrezzature di sollevamento.
Molte volte aveva letto delle imprese del dio Thor che col suo Mjolnir era in grado di affrontare qualunque minaccia, certo del potere del tuono. Quando il coro di lamenti delle lamiere che si deformavano sofferenti e cadevano dal soffitto culminò nello schianto del carro ponte, fu come se Mjolnir si fosse abbattuto su quel capannone. Il pavimento vibrò, il tuono cancellò il grido dalle orecchie di Veruska e le rimbombò dentro polmoni, stomaco e ventre, lasciandola senza fiato. Nemmeno la pioggia di calcinacci e scheggie di mattone la indusse a togliersi da dove aveva irragionevolmente trovato rifugio, terrorizzata come un piccolo topo in trappola.
Invulnerabile, il mostro meccanico spazzò via il tramezzo di mattoni con un unico colpo del braccio sinistro. Vedere il suo riparo precedente finire in briciole con quella facilità aiutò Veruska a scuotersi.
L'aria si stava riempendo di polvere di cemento e dal soffitto continuavano a cadere briciole di mattone. Tossendo la giovane domestica sgattaiolò via. Il cemento vibrava a ogni passo del minotauro e lei non avrebbe voluto trovarsi sulla sua strada per nulla al mondo. Riuscì a rizzarsi in piedi e a rendersi conto di ciò che stava succedendo. Il mostro era lontano: si udì un colpo d'arma da fuoco, assordante. Ne vide anche la vampa: il braccio meccanico sinistro scattò subito in quella direzione ma centrò in pieno un pilastro di mattoni.
Veruska fu colta dal terrore. Il braccio si ritrasse vistosamente danneggiato, ma il pilastro aveva subito un danno più grave. Pesanti mattoni cominciarono a cadere dall'alto dove si era creata una frattura. Il massiccio sostegno stava per cedere. Il carro ponte cadendo aveva urtato il pilastro adiacente lesionandolo. Dovendo ora sostenere del peso aggiuntivo, anche quello cominciò a cedere rapidamente.
Una mano piccola e forte la afferrò per il braccio, tirandola con decisione.
Maria!
Aveva con se il tubo metallico, impolverato e acciaccato.
La trascinò tra macchinari e attrezzature, guidandola con sicurezza verso una grande porta schiusa di poco. Era lo scivolo di carico del capannone, dove i camion venivano a caricare e scaricare. Sgattaiolarono via in fretta e furia dalla porta carrabile: alle loro spalle l'intera struttura stava scricchiolando. All'interno l'instancabile minotauro si agitava nella sua furia cieca e distruttiva.
Mentre ancora correvano un tuono potente rotolò in un crescendo assordante dietro di loro. Veruska si voltò in tempo per vedere più della metà del grande edificio accartocciarsi su se stesso in un nube di polvere illuminata dalle azzurre e gialle scariche elettriche dell'alta tensione in corto circuito. Il terreno tremò, le luci si spensero.
- Peccato... in fondo erano tutti dei bravi guaglioni – sospirò Maria, già domato il fiatone per la corsa fatta.
- Il Principe di Savoia sarà contento – disse poi agitando il tubo metallico.
Veruska obbedì un'ultima volta al suo istinto. Strappò il cilindro metallico dalle mani di Maria, lo usò per colpirla in viso più forte che poté e corse via come il vento, nel buio.
Il muro