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Le contadine da Luca Mannurita blog


Si puntellò sulla zappa posata al suolo. Zania aveva picchiato duro per tutto il giorno, lei era in ritardo col lavoro e gli automi agricoli della cooperativa non si erano ancora visti. Il suo fisico era forte e robusto ma aveva i suoi limiti. Mentre madida di sudore riprendeva il fiato valutò con gli occhi i progressi compiuti quel giorno. I solchi non erano dritti e in diversi punti nemmeno profondi. Avrebbe dovuto ispezionarli tutti e rimediare ove necessario. Il che significava percorrere a piedi diversi kli sotto i raggi impietosi del sole e zappare di più.

Non era il lavoro a spaventarla. Stirò i muscoli irrigiditi e bevve dalla borraccia che portava appesa al cinturone degli attrezzi. Dette uno sguardo alla rassicurante sagoma della sua abitazione e, al pensiero del lungo bagno con cui avrebbe concluso la giornata, impugnata la zappa l'alzò sopra la testa e la piantò con forza nella terra.

- Grande Madre – bisbigliò a denti stretti per risparmiare il fiato – concedimi un buon raccolto... e magari anche un automa o due...

Zappò di buona lena dandosi solo brevi soste e vibrando colpi potenti, decisa a spingere l'attrezzo a una profondità sufficiente. Come spesso le succedeva, la fatica la entusiasmava: mettere alla prova la propria potenza fisica la faceva stare bene. Era orgogliosa di essere una coltivatrice: bagnare col sudore la terra, non solo in senso figurato, le dava un senso di appartenenza che la appagava tantissimo.

Un rumore lontano la fece fermare. Alzò la testa dal lavoro e drizzò la schiena muscolosa. Erano gli automi della società agricola, finalmente. Li osservò mettersi al lavoro senza indugio. Il primo cominciò lì vicino avendo giudicato il suo lavoro non sufficiente; un altro andò dritto al lato opposto del campo, quello che lei avrebbe raggiunto zappando instancabilmente solo di lì a qualche giorno. Li vide sopraggiungere coi ferri spianati: lame e dischi che avrebbero scavato e rivoltato il terreno nel modo corretto, alla giusta profondità, alla velocità migliore.

Mai troppo tardi, si disse voltando le spalle agli automi dorati, sporchi di terra e impolverati. Seliana, puoi andare a goderti l'agognato bagno, pensò soddisfatta volgendo il viso ai raggi di Zania, forti e caldi nonostante fosse ormai bassa sull'orizzonte. Si incamminò verso casa abbandonando al loro lavoro gli automi che già muggivano per lo sforzo, le luci accese e le lame affondate nel fertile terreno.

Lasciò scorrere gli occhi sulle forme tondeggianti delle tre cupole che si univano a formare la sua casa. La superficie tecnologica assorbiva la pigra luce solare per conservarla, trasformarla e restituirla a comando. Già il cielo buio si sollevava sopra l'orizzonte all'inseguimento di Zania che ostinata illuminava d'oro la campagna. Nulla si muoveva e le luci ancora non erano accese.

Proprio in quell'istante una bimba spuntò da dietro la casa. Sporca di terra fino alle ginocchia e oltre i gomiti, appena la vide cominciò a correrle incontro strillando felice “madre, madre!”. Aveva da poco superato i cinque cicli maggiori d'età ma non aveva ancora perso i tipici tratti bambineschi: le membra piene e i lineamenti tondi della fanciullezza, anche se ormai di statura era prossima ad arrivarle alla vita. Aveva di certo ereditato dalla madre la robusta costituzione e l'altezza.

Seliana allargò le braccia per accoglierla e la piccola senza frenare lo slancio le saltò al collo. Per sostenerla le mise un braccio sotto le natiche ruvide di terriccio. La bimba si aggrappò serrandosi forte ai fianchi coi talloni e Seliana la strinse al seno. Voleva farle sentire più intensamente il calore dell'affetto che le albergava nel petto e che si sprigionava tutte le volte che vedeva la piccola sorridere così.

- Madre! Sei tutta scivolosa - protestò la piccoletta pigolando con la sua acuta voce infantile. Per tutta risposta Seliana la coprì di amorevoli baci sulla testa, sulle guance e infine sul collo, soffermandosi ad assaporare con le labbra le pulsazioni dei cuoricini impazziti.

- È questo che ti ho insegnato?

Quella voce severa! Era stata preceduta dalla ben nota aura di Ezil, sorella di sangue di Seliana. Condivideva con lei gli splendidi occhi color del corallo e l'altezza, ma non certo la potenza fisica. Mentre Seliana affrontava qualsiasi lavoro a cuor leggero, Ezil si occupava della maggioranza delle faccende domestiche e dell'orto. In più badava alla piccola Juni quando la madre era nei campi. Non perdendo un'occasione per cercare di allontanarla dalla Nuova Era.

Seliana spostò lo sguardo dalla sorella che sopraggiungeva alla figlia. Quella si era scostata ma le teneva una mano sul petto, restia a interrompere il contatto fisico. Abbassò gli occhietti, intimidita.

- Su, racconta... cosa ti ha insegnato madre Ezil? - la incoraggiò con voce morbida.

La bimba accennò il broncio. Si vergognava.

- Da brava... come si saluta? - la esortò Ezil, pacata ma severa.

- Sono vostra serva, madre! - disse infine la bimba tutto d'un fiato, sbagliando l'intonazione. Era chiaro che l'aveva fatto perché spinta da Ezil e non per ragioni più sentite. Seliana non poté evitare una veloce occhiataccia alla sorella, sforzandosi di non far trasparire il suo disappunto. La figlia in braccio se ne sarebbe accorta senza dubbio.

- Che hai fatto nell'orto tutto il giorno? - la incalzò subito Seliana cambiando discorso nel tentativo di sciogliere il broncio che la piccina aveva messo. Juni si illuminò di nuovo riempendo il petto della madre di gioia e orgoglio.

- Ho visto un leymur!

- E quanto era grande? - la canzonò.

La figlioletta spalancò le braccia per indicare la dimensione massima che potesse concepire. Seliana lanciò un fugace sguardo interrogativo alla sorella che sorridente approssimava un segmento molto più modesto con le dita di una mano. I leymur erano rettili timidi e pacifici: avevano già dimostrato in passato di gradire le buone verdure faticosamente coltivate da Ezil e più volte avevano dovuto scacciarli. Il più grosso mai avvistato da lei però non era più grande di una gamba ed era fuggito a tutta velocità quando era stato scoperto a saccheggiare l'orto.

Juni si agitò, d'un tratto desiderosa di sciogliere l'abbraccio della madre. Dichiarando con entusiasmo l'intento di voler catturare un leymur corse dentro l'orto come una saetta.

- Come invidio tutta la sua energia – confessò Ezil intenerita al punto che Seliana ebbe un netto moto empatico nei suoi confronti. Per un attimo si sentì quasi una matriarca: capace di dominare emozioni e di esprimersi telepaticamente a suo piacimento. Ma sapeva bene che le capacità psi nella sua famiglia erano al lumicino.

In quel mentre il rumore di un veicolo si affiancò al monotono e lontano mugghiare degli automi della società agricola interrompendo il momento di tenerezza fra le due sorelle di sangue.

- Che seccatura questa deviazione – sbottò Ezil. Erano abituate al silenzio pressoché totale lì, in aperta campagna. A interrompere i suoni della natura c'era solo il basso ronzare degli automi e l'occasionale sorvolo di qualche velivolo militare proveniente dalla vicina base. Da diversi cicli a quella parte però la quieta strada che passava a meno di mezzo kli dall'ingresso della loro proprietà era divenuta di colpo trafficata e rumorosa a causa di lavori sull'arteria principale.

Il motore si fece più vicino rivelandosi quello di un veicolo di notevoli dimensioni. Ma a preoccupare le due sorelle di sangue fu la certezza che il veicolo era diretto lì.

Lo videro incedere maestoso lungo la strada sterrata, uscendo lentamente dall'ultima curva sollevando due ali di polvere gialla. Era enorme. Un veicolo di rappresentanza di qualche matriarcato. Aveva ruote massicce lisce al centro e col battistrada profondamente scolpito ai lati; le ruote erano montate su cerchi aerodinamici. Era già una dura prova per la loro pazienza il fatto che fosse giunto fin lì: con quelle ruote enormi, quel pesantissimo veicolo avrebbe potuto arrecar loro dei danni. Evidentemente le matriarche si sentono al di sopra anche delle buone maniere, pensò Seliana: un'onda di stizza le montava dentro. Il veicolo si fermò a pochi passi da un limite invisibile oltrepassato il quale l'invasiva presenza sarebbe divenuta un'intollerabile offesa. I portelli tardarono ad aprirsi, mossa studiata per dare tempo alle due sorelle di valutare l'aspetto del veicolo. Seliana richiamò la figlia e la tenne avanti a sé, entrambe le mani posate sulle sottili spalle di quella che irrequieta continuava a torcersi verso la madre e a fare domande.

I portelli anteriori si aprirono. Venne estesa una corta passerella che sfiorava appena il terreno polveroso e finalmente dal veicolo a ruote multiple uscì una sorella.

- Vuoi lasciar parlare me, per una volta? - sibilò Ezil appena udibile. Ardeva dal desiderio di mostrarsi degna delle inattese ospiti.

- Per la Dea, non provare ad aprire bocca se non te lo chiedo io – ringhiò di rimando Seliana a denti stretti: temeva che Ezil si sarebbe prostrata in tutto e per tutto a quelle seccatrici. Ma più di ogni altra cosa la infastiva la consapevolezza che la sorella la ritenesse inadeguata alla situazione.

- Sono vostra serva, madre.

La giovane sorella che le fronteggiava al saluto si era fermata a rispettosa distanza e le fissava inespressiva. Alle sue spalle altre sue coetanee sbarcavano dall'imponente veicolo ma senza allontanarsene.

Seliana la squadrò da capo a piedi: era certamente membro di qualche matriarcato molto importante. Non si era mai data pena di tenere a mente i tatuaggi dei matriarcati più autorevoli della zona ma quelli ostentati dalla giovane le erano del tutto nuovi. Non era di quelle parti.

Agli occhi delle due contadine la giovane era semplicemente splendida. Il fisico armonioso e perfetto, la pelle dolcemente maculata e ornata da tatuaggi finissimi e pitture corporee tra le più belle che avessero mai visto. Seliana non si curava molto della propria pelle scurita dal vigore di Zania, né badava a frivolezze come i tatuaggi. Ne aveva ben pochi: il semplice simbolo della procreazione benedetta le ornava la liscia pelle dell'inguine; con esso celebrava la nascita di Juni. Pochi semplici simboli, variazioni di quelli della dea Zaideena tatuati nelle opportune posizioni esaltavano la sua potenza fisica. Ezil era molto più attenta alla tradizione: era più tatuata della sorella maggiore e si ostinava a curare molto le proprie pitture, ma i segni che mostrava non potevano rivaleggiare nemmeno per un istante con quelli delle matriarche.

Se da un lato agli occhi della giovane le due contadine non avevano segreti, quella rimaneva un mistero imperscrutabile.

- Una visita inattesa – esordì Seliana infrangendo un paio di protocolli minori. Sentì la sorella di sangue trasalire al suo fianco ma nessun altro parve fare caso a quella piccola insolenza.

- Perdonate l'intrusione, madre. Il nostro veicolo ha un guasto al sistema di navigazione e la deviazione dalla strada principale ci ha portate fin qui. Procediamo alla cieca e tutto ciò che chiediamo sono indicazioni per raggiungere la città sicura di Anaman.

- Il vostro bel veicolo non ha problemi – le rassicurò Seliana, ma senza benevolenza né sorrisi – è la base militare qui vicino che si prende gioco dei vostri sistemi. A volte perfino gli automi agricoli risentono delle loro armi elettroniche.

Istintivamente si voltò verso le macchine che finalmente lavoravano la terra in sua vece: mugghiavano lontane, i fari accesi, indaffarate e instancabili. Avevano già lavorato un buon tratto del suo grande campo e se avessero continuato a quel ritmo avrebbe seminato il giorno dopo. Rammentò la fatica che aveva fatto per zappare qualche misero solco e un istante dopo si rese conto del proprio acre odore corporeo. Ecco che le nuove arrivate, inopportune e indesiderate, già provocavano i primi danni. Belle e profumate com'erano la stavano facendo sentire a disagio. Proprio lei che era abituata a vantarsi di faticare e sudare, lei che considerava la propria vita modesta e sincera come fonte di grande orgoglio, lei che aveva spalancato le braccia alla Nuova Era! Non poteva tradire così quel timido, tardivo segno di consapevolezza che finalmente sembrava poter scuotere e svegliare la Sorellanza intera. Pari diritti, pari doveri, fine dell'onnipotenza dei matriarcati. Questo il sogno, ancora poco condiviso, di Seliana la contadina.

- Tornate pure indietro sulla strada principale e continuate a seguirla senza mai deviare – concluse Seliana – vi porterà alla città piccola di Oushai. Lì, alla Dea piacendo, troverete un aiuto maggiore del mio.

La bella giovane parve esitare. Che avesse percepito in lei l'ardore per il lavoro? No, non lo credeva. Forse è disgustata dall'odore. O, la Dea mi perdoni, ha capito di essere poco gradita. Seliana si sforzò di chiudere il più possibile la mente pur consapevole che la giovane che stava affrontando, appartenente di certo a un matriarcato potente, avrebbe potuto spazzare via la sua misera difesa e leggerle dentro con facilità.

- La vostra gentilezza ci onora tutte, madre – Seliana riconobbe con sollievo la comune formula di commiato.

- Buona vita – rispose, restituendo come meglio poté l'aggraziato inchino che la giovane nobile le rivolse prima di tornare al veicolo dove le sue pari l'attendevano in silenzio.

- Come sono belle, madre! - cantilenò la piccola Juni tendendo le braccia verso il viso della genitrice. Seliana la issò senza sforzo e la strinse al seno. Dopo pochi istanti il veicolo delle matriarche si rimise in moto rombando cupamente e la piccola si contorse tra le braccia della madre per vederlo ripartire. Il metallo decorato finemente scintillò sotto gli ultimi raggi di Zania e sparì alla vista.

- Anch'io voglio essere come loro! - esclamò la bimbetta.

- Cosa desideri di più? - la interrogò la madre scherzosa – Essere bellissima, o essere una matriarca molto importante e avere tante cose belle come quel veicolo?

- Tutto! - rispose Juni con l'entusiasmo di cui solo i fanciulli più giovani sono capaci.

- Quando avrai avuto tutto – si intromise Ezil – che mai sarà della tua povera madre? La abbandonerai per sempre?

Incupita dalla domanda troppo adulta Juni si paralizzò, fissando su Ezil gli occhi accesi come braci. Seliana sentì bene come il tormento della difficile scelta stesse dibattendosi nella testolina della figlia, un seme troppo grande per quel vaso ancora così piccolo. Seliana fu contrariata dall'intervento della sorella e fece in modo che quella se ne accorgesse senza incertezza.

- Su, su! Manca ancora un bel po' al tempo in cui sarai anche tu cresciuta come loro.

Ma quella doveva aver ereditato dalla genitrice anche la testardaggine.

- Quanto?

- Tanto.

- Tanto quanto? - insistè la piccola carezzando i capelli della madre come faceva per farsi concedere un capriccio.

- Tantotantissimo – rispose quella scherzosa – Ora andiamo a lavarci tutte e tre insieme perché siamo coperte di terra e polvere fino agli occhi.

Camminarono fino all'abitazione che le accolse col tepore secco della stagione troppo poco piovosa. Le pareti tecnologiche conservavano gli ultimi raggi di Zania esaltando il calore che possedevano. Avrebbero fornito luce e calore a comando, alimentando i servizi offerti dalla tecnologia senza timore di esaurimento.

Fecero un lungo bagno lavandosi a vicenda e premiandosi col tocco ristoratore della spugna viva. La placida creatura con le proprie secrezioni curò la loro pelle dalle offese della furia di Zania e indusse nelle tre calma e serenità.

Mangiarono cibo stando ben attente a non esagerare in nulla per non offendere la Dea e poi, stanche per la giornata di lavoro, si ritirarono per la notte.

Seliana depose nell'alcova la piccola Juni che le si era addormentata tra le braccia poco dopo il pasto. Un sonno leggero da cui si svegliò non appena la madre l'ebbe adagiata sulle imbottiture. Si affrettò a chiuderle gli occhi appoggiandovi teneri baci, ma la piccola dispettosa si aggrappò al collo della genitrice.

- Madre – le sussurrò con voce arrochita dal sonno – devo dirti una cosa...

- Va bene, ma poi dormi senza altre discussioni.

Seliana sentì qualcosa di cupo agitarsi dentro il cuore della figlia. Doveva rassegnarsi al fatto che la piccola Juni sarebbe cresciuta e divenuta adulta. Avrebbe fatto delle scelte e, per la durezza della vita nei campi, avrebbe facilmente scelto di abbandonare la casa e la madre, ora venerata. Sarebbe tornata un giorno a bordo di un possente veicolo, mostrandosi a lei splendidamente ornata da tatuaggi finissimi e pitture deliziose? Chi poteva dirlo? Sia la volontà della Dea, concluse. Il futuro è qualcosa contro cui non si può combattere.

- Sei bellissima tantotantissimo!

Seliana sentì il petto come se stesse per scoppiare gonfio e caldo d'affetto com'era. Sentì di non essersi controllata: quando stava con la figlia non ci riusciva mai. Lesse facilmente il riflesso di tutto quel traboccante calore nella figlioletta e nella sorella Ezil che sopraggiunse subito, attratta dal bel momento.

- Adesso però dormi – cercò di sembrare severa ma dalle labbra le uscì un sussurro colmo di passione. Osservò la piccina raggomitolarsi alla ricerca della posizione migliore per il sonno: il petto quasi le doleva per la commozione.

Si ritirò subito nella sua alcova e accolse tra le braccia Ezil che le si presentò dopo pochi istanti, colma di placida gioia e splendente. Un momento così bello andava vissuto fino in fondo, con la benedizione della Dea.


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