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Luca Mannurita

3.


Niente.

Pareva che di Eric Valdemort non ci fosse nulla da sapere oltre quanto scritto nella sua scarna biografia ufficiale. Pochi pettegolezzi, qualche vecchia notizia qua e là, nessun ritratto ufficiale. Un ricco industriale che doveva la sua fortuna, apparentemente, all'attività di importazione ed esportazione di beni da e verso il pianeta. Attività che gli aveva riempito le tasche per bene: la sua azienda, sconosciuta ai più, aveva bilanci in attivo da anni. Un piccolo ricco, uno dei tanti con l'allergia alle fotografie: di lui poche immagini, mai al centro dell'inquadratura, mai in primo piano, mai perfettamente a fuoco. Catturato per caso dalle lenti di paparazzi più interessati ad altri soggetti nelle vicinanze. Mai immortalato al fianco della sua attuale compagna: in Rete informazioni su Hoshi Nakano ce n'erano forse ancora di meno. Ex nuotatrice agonista distintasi in un paio di campionati per dei buoni piazzamenti, stellina fallita di olofilm di terz'ordine, ex fidanzata di attorucoli ignoti, arrampicatrice sociale che aveva finalmente scalato la sua piccola vetta con successo proprio grazie all'ignorato signor Valdemort. Ecco due tipici esempi di identità digitale “lavata”, si rammaricò.

Kuniko lasciò cadere gli occhi sull'orologio di sistema del terminale: era quasi l'ora di entrare in azione.

Uscì dalla lussuosa suite che divideva con Masashi e si diresse agli ascensori. Indossava un bell'abito nero scollato davanti e dietro, corto ma senza spacco. L'aveva ritenuto l'ideale per mettere in mostra la sua carnagione pallida. Ad esso aveva accostato un trucco lieve e molto sfumato, con labbra scure e matita molto sottile sugli occhi. A conferire un tocco di classe alla sua figura finissimi gioielli dall'apparenza modesta e minima, ma l'ideale per sottolineare i suoi lineamenti sottili e delicati. Si immerse nella festa organizzata dall'albergo sorridendo enigmatica, sorseggiando del vino bianco delicatissimo appoggiando appena le labbra al lunghissimo flute di cristallo prelevato dal vassoio portato in punta di dita da un esperto cameriere.

Si fece vedere un po' in giro, intrecciò rarefatte e frivole conversazioni di cortesia con ospiti che conosceva solo di vista, accettò il braccio offerto da un giovane cicisbeo che la condusse a ballare per qualche minuto.

Più tardi finalmente, mentre stava valutando se fosse davvero il caso di assaggiare un piccolo stuzzichino di pesce, una lieve vibrazione alla base della mascella la riportò al vero scopo della sua presenza lì.

- Cinque minuti – la voce di Masashi la raggiunse chiaramente, udibile da lei sola dopo aver attivato il suo impianto mascellare con un piccolo movimento della bocca.

Sentì la linea protetta chiudersi. Non era necessaria una risposta. Fingendo senza alcuna fatica totale disinteresse per il buffet mosse ancora qualche annoiato passo qua e là nell'ampia sala. Zigzagò casualmente tra piccoli capannelli di uomini e donne riccamente agghindati intenti a bere e mangiare e chiacchierare più o meno rumorosamente, camminando come se stesse cercando qualcosa o qualcuno che non si trovava lì, ricambiando cenni e sorrisi. Si allontanò gradualmente dalla folla e quando fu certa che nessuno la notasse, si avvicinò decisa al guardaroba e chiese il suo coprispalle bianco di vero e costosissimo kashmeer naturale. Facendo ticchettare decisa i tacchi sul pavimento raggiunse la hall e chiese al concierge un taxi per un noto ed esclusivo locale privato, meta usuale di personaggi famosi e del loro ampio entourage.

In meno di due minuti un'auto dai finestrini oscurati si fermò poco lontano dal confine con la hall, inseguita dagli ologrammi arancioni della compagnia di taxi cui apparteneva. Il portiere la attese con lo sportello aperto mentre lei percorreva impettita la distanza che separava l'ampia reception dalla corsia riservata ai taxi dei clienti. Senza che fosse necessaria una sola parola, lo sportello fu chiuso e il veicolo si mise in moto con misurata determinazione. Una volta nel taxi il silenzio fu rotto dall'autista che d'iniziativa abbassò il vetro nero che separava il posto di guida dal resto dello spazioso abitacolo.

- Tutto a posto?

Impeccabile nella sua divisa da taxista, Masashi le volse per un attimo il viso leggermente butterato dall'acne.

- Tutto come previsto. Però niente su Valdemort e Nakano. Due maniaci della privacy.

- C'era da aspettarselo. Non saranno più un problema: sono molto contento di non dover vedere più quell'orribile donna.

- Concentrati sul lavoro e basta. E alza questo vetro che mi devo cambiare.

Riguadagnata l'invulnerabilità agli sguardi, Kuniko sbloccò con forza i duri ganci di arresto che tenevano in posizione lo schienale del sedile posteriore sdoppiabile e guadagnò l'accesso al bagagliaio della vettura. Attraverso l'apertura, studiata per consentire il trasporto di oggetti troppo grandi per il bagagliaio, fece passare facilmente una morbida borsa da palestra. Ne estrasse degli abiti stazzonati e spogliatasi rapidamente del ricco vestito e dei gioielli, cominciò a indossarli.

Luca Mannurita

2.


Masashi ebbe il primo sospetto quando notò il cameriere avvicinarsi senza che ve ne fosse necessità. Sospetto confermato dal fatto che sul vassoio che recava con sé era adagiato un biglietto.

- Kuniko, ti prego – mormorò quando vide la giovane seduta di fronte a lui prendere il biglietto con pacata determinazione.

Il biglietto una volta aperto proiettò nell'aria un ologramma di modeste dimensioni ma molto ben definito: sotto lo stemma araldico simbolo del lussuoso albergo scintillavano discretamente caratteri obliqui ricchi di eleganti svolazzi. Un invito.

- Ma cosa abbiamo fatto di male per... - Kuniko impassibile lo scalciò sotto il tavolo e Masashi fu l'unico ad accorgersene.

- Grazie – con un sorriso la giovane congedò il cameriere. Il compagno si esibì in smorfie visibili al punto che Kuniko lo rimproverò.

- Controllati. È stata carina a invitarci a bere un caffè.

- Ha quel maledetto vizio di toccare tutto con quelle orrende mani... - si disperò lui.

- Devo darti ragione... è davvero maleducata. E ha brutte mani. Ma mi sto ripetendo, e anche tu.

- Come avrà fatto una così ad entrare in società...

- Con lo stesso biglietto da visita che usiamo io e te, mio caro. Il denaro. È quello che apre le porte a chiunque ne abbia abbastanza. Me l'hai insegnato tu.

- Ha l'aspetto di chi non ha lavorato un solo giorno della sua vita! La detesto anche solo per questo.

- Hai ragione – convenne Kuniko abbandonando con delicatezza le posate sul piatto – Io e te invece siamo di tutt'altra pasta.

Il tono ironico non sfuggì a Masashi.

- Certo che lo siamo. Te l'ho detto un milione di volte. Siamo molto più meritevoli noi di tutti questi...

L'uomo aveva abbracciato con gli occhi l'ampia e ricca sala del ristorante, i tavoli occupati da coppie bisbiglianti o piccoli gruppi, tutti clienti dell'albergo. Gente ricca, altolocata, potente e blasonata, spesso tutte queste cose insieme. Ma riportato lo sguardo sulla sua compagna si era bruscamente interrotto. Kuniko sapeva comunicare il suo disappunto in modo molto efficace anche senza parole. Quel dolce volto, agli occhi di lui bello da far male al cuore, sapientemente truccato e illuminato dagli occhi cupi in quel momento era freddo e severo.

Quell'espressione dura, provocato lo stallo emotivo tra i due si sciolse un attimo dopo.

- Detesto darti ragione troppe volte di fila, ma quando è giusto... è giusto.

Accompagnò quelle parole con un misuratissimo cenno di saluto. Masashi intuì e si voltò: quella cafona di Hoshi Nakano non sapeva proprio stare al suo posto. Non paga di aver interrotto il loro pranzo con un biglietto di invito, aveva ora la faccia tosta di presentarsi di persona a sollecitarli. Se ne stava in piedi all'ingresso del ristorante vestita da turista squattrinata con braghette, sandali e canottiera sgargianti. Imbarazzante. L'unico segno distintivo era una costosissima rivista di carta patinata che aveva arrotolato con noncuranza e negligenza e che ora stava sventolando in aria sorridendo giuliva, incurante di rendersi ridicola agli occhi di tutti.


- Sei paranoico.

- Siamo sempre tornati indietro, e mai a mani vuote. Ti dico che questa storia puzza.

Sull'ascensore di servizio che stava calandosi nelle viscere dell'albergo Kuniko si lasciò andare a un sospiro rassegnato.

- Ammetto che ci sono alcune coincidenze, ma...

- Io non credo alle coincidenze. Proprio oggi quella scema salta fuori con il suo uomo e la sua “idea fantastica”.

Dopo il pranzo l'altissima Hoshi Nakano aveva insistito per averli ospiti per un caffè espresso. Avevano subito la presenza ingombrante della donna per pura cortesia e poiché desideravano mantenere un profilo molto basso. Chiacchierare del più e del meno era facile per Kuniko, meno per Masashi e alla fine la logorrea incontenibile della loro conterranea bionda aveva finito col prevalere. Tra ondate di parole inutili era saltato fuori che quel giorno l'insopportabile Hoshi sarebbe stata raggiunta dal marito o compagno che fosse. Un uomo di cui stranamente aveva detto poco o nulla nei giorni precedenti, un'incognita del tutto nuova da calcolare. Come se non bastasse Hoshi col suo fastidioso fare da oca sempre contenta aveva proposto loro di visitare l'esposizione di gioielli che sarebbe stata inaugurata il giorno successivo nel lussuosissimo albergo adiacente a quello in cui erano ospitati. Questo perché ardeva dal desiderio di ammirare la famosissima corona di Ardat Lili, un gioiello unico al mondo. Era stata sparsa la voce che il diadema ospitava incastonate in fasce di oro e platino autentiche pietre preziose terrestri senza pari: su tutte troneggiava un rubino di dimensioni e purezza straordinarie, che dava il nome a tutto il gioiello. Tutto questo proprio il giorno stesso.

- Neutralizziamoli.

- Mi stupisco di te. Non potremmo fare di peggio, direi. Chiunque sarebbe pronto a metterci in relazione con quei due. E ti ricordo che non sappiamo proprio nulla di quel gaijin che la scema ha sicuramente irretito col denaro. O per denaro.

Kuniko tacque per qualche secondo. Masashi aveva ragione. Doveva stare più attenta: abituata alla paranoia del compagno iperprotettivo, rischiava di abbassare la guardia.

- Quindi cosa suggerisci? - si arrese, fiduciosa nella maggiore esperienza di lui.

- Anzitutto dobbiamo cercare tutte le informazioni possibili su questo Eric Valdemort. Se non è una minaccia non faremo proprio nulla. Se invece anche uno solo dei due rappresentasse un pericolo, e secondo me Hoshi Nakano lo è, non potremmo agire indirettamente. È troppo tardi per chiedere aiuto a un professionista serio e l'intervento di un dilettante equivarrebbe a improvvisare noi qualcosa. Sarebbe disastroso. O un diversivo, o nulla.

- Anche un diversivo sarebbe pericoloso.

- Certo – convenne Masashi proprio mentre le porte del trascurato montacarichi si aprivano su un ampio locale male illuminato – dovremo studiarlo bene. Dovranno sembrare tutti eventi scollegati tra loro. Casuali.

- Non sarà facile.

- Nulla è facile di ciò che facciamo. Eppure abbiamo sempre avuto successo.

- Finora – aggiunse Kuniko camminando lieve al suo fianco.

- Finora – ribadì lui dopo una pausa significativa – Ti risparmio la lezioncina, la conosci già. Ora controlliamo l'attrezzatura, da cima a fondo...

- Due volte – sospirò Kuniko. Quella era la parte che avrebbe volentieri delegato a Masashi, pignolo ed esperto.

- Tutte le volte che serve – corresse lui, addentrandosi nella penombra di sagome geometriche accatastate le une sulle altre.

Luca Mannurita
1.

La giovane donna in bikini emerse dall'acqua mentre con le dita si toglieva i capelli corvini dalla fronte e li accomodava dietro le orecchie piccole e graziose. Raggiunto il più alto degli ampi gradini sagomati della piscina, si diresse con elegante calma verso il lettino libero che l'attendeva. Snella e flessuosa, si sdraiò nella luce intensa e gialla e, inforcati gli occhiali da sole, si accomodò per meglio godere dell'abbraccio dei caldi raggi e della splendida vista: un trionfo di ciliegi in fiore, il monte Fuji col suo cono imbiancato padrone del cielo terso e dell'acqua blu cobalto.

- È per stasera?

L'uomo sdraiato nel lettino adiacente annuì, il viso nascosto da un padd caricato con le notizie del giorno. Pareva l'antitesi della giovane: il fisico tozzo e muscoloso, la pelle scura e pelosa, era sintesi di potenza e sproporzione, di stolida brutalità ma anche di salda determinazione.

- Hai già controllato tutto?

Il padd passò a mani più affusolate e delicate: scomparse le pagine dei quotidiani sciorinò planimetrie e grafici, complessi schemi e tabelle fitte di dati.

- Bravo... - fu il piatto e atono commento della giovane. Passò in rassegna le informazioni con finto disinteresse ed espresse alcuni commenti molto tecnici e mirati. L'uomo le rispose con competenza e preparazione.

- Arriva qualcuno – di nuovo i notiziari fecero la loro bella figura sul padd con le immagini ad alta risoluzione e i roboanti ipertesti pronti da sfiorare con le dita. L'uomo accomodò meglio gli occhiali neri che gli coprivano il viso e finse di guardarsi intorno. Dal solarium emerse una figura alta e slanciata. Con la falcata permessa dalle gambe lunghissime, la donna raggiunse con pochi passi il bordo della piscina mentre al tempo stesso lanciava su un lettino vuoto l'accappatoio dell'albergo. Sistemato con volgarità il ridotto bikini bianco si tuffò nella parte più profonda della piscina, sfidando ogni divieto. Quando riemerse tra gli spruzzi sputando acqua dalla bocca li salutò chiassosamente con ampi gesti, invitandoli a tuffarsi anche loro.

- Quella cafona della Nakano – commentò la giovane, schifata e altezzosa. Non si era scomposta minimamente, limitandosi a ricambiare i saluti con un singolo cenno della mano. L'uomo al suo fianco non si era nemmeno mosso.

- Ce l'abbiamo in continuazione tra i piedi – si decise a commentare lui quando vide che con ampie bracciate l'indesiderata ospite puntava dritta verso di loro.

- Ci ha decisamente presi in simpatia – la giovane abbozzò un sorriso per mascherare il disappunto.

- Parlaci tu. Non la posso sopportare – rispose acido l'uomo.

- Solo perché è cinquanta centimetri più alta di te – stavolta il sorriso sulle labbra della giovane era sincero.

- Quaranta! - sbottò piccato l'uomo, mantenendo però bassa la voce.

- Quarantuno, per la precisione.

Non vi fu replica: la bionda e fracassona nuotatrice, tra spruzzi e schizzi era giunta a portata d'orecchio.

- Ciao gente! Come va?

- Non c'è male – rispose la giovane adagiata con grazia sul lettino.

- Un paio di bracciate?

- Per ora no, grazie.

- Io sento che potrei attraversare a nuoto l'oceano! - starnazzò l'ultima arrivata sollevandosi di scatto dall'acqua con la sola forza delle braccia muscolose. L'unica cosa che la giovane sul lettino aveva apprezzato di quella fastidiosa presenza non richiesta erano proprio le sue capacità atletiche. Nella palestra dell'albergo si era dimostrata un'ottima compagna di allenamento, forte e resistente alla fatica.

- Dev'essere il panorama che mi esalta! L'avete messo voi il monte Fuji?

- Certo.

- Lo sapevo! Vi amo! - strillò quella battendo rumorosamente le ruvide mani dalle nocche schiacciate. La situazione stava facendosi imbarazzante. Inoltre il bikini bianco era diventato semitrasparente e rivelava più di quanto consentiva la decenza. Evidentemente la Nakano non era interessata al regolamento dell'albergo che non solo sconsigliava caldamente l'uso dei succinti coprisesso tanto in voga al momento ma anche suggeriva a tutti gli ospiti un “abbigliamento adeguato” sia nel solarium che ai bordi della piscina. Per gli altri ospiti il solarium e la piscina non erano tanto interessanti al momento e nessun altro era presente a testimoniare quella ridicola e seccante esibizione.

Fortunatamente per i due sdraiati sui lettini la bionda e rozza ospite decise che l'acqua riscaldata dell'enorme piscina era troppo invitante per stare seduta sul bordo a chiacchierare.

- Quasi quasi ora metto le isole Figi. Per puro dispetto – sbottò l'uomo, ma non mosse un dito.

- Ha un fisico davvero invidiabile. Potrebbe esserci utile, se non fosse scema come un'oca.

- È troppo alta, non potrebbe mai affiancarti o sostituirti.

- Vero. Masashi, sento dell'invidia nella tua voce – commentò la giovane rimanendo impassibile.

- Non è vero. Quella spilungona mi infastidisce e basta: è troppo maleducata e cafona. Mi domando a cosa pensassero i suoi genitori quando l'hanno chiamata Hoshi. Un nome immeritato. E a cosa pensavi tu quando le hai dato retta la prima volta. Ci si è appiccicata addosso e non ci ha più mollati. Avresti dovuto...

- Sì, appiccicosa è la parola giusta – convenne lei interrompendolo. Masashi era incline a perdere la pazienza e quando succedeva diventava noioso. O violento.

- È un tormento! - anche in questa occasione l'uomo esclamò mantenendo bassa la voce.

- Sopportala fino a stasera. Poi...

La giovane si girò su un fianco volgendo un sorriso malizioso verso l'uomo. Tese una mano accarezzandogli il petto peloso e muscoloso. Lui le prese dolcemente la mano e le posò un lieve bacio sul braccio candido.


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