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Mannu blog


La ragazza sbatté la mano sul ripiano del piccolo negozio di elettrodomestici. I mille anelli e braccialetti tintinnarono insieme.

- Cazzo è questa roba? - esclamò senza curarsi di tenere bassa la voce. Tanto non c'erano altri clienti.

Dietro il bancone l'uomo dai corti capelli bianchi e grigi incurvò un sopracciglio, indifferente.

- Se non ti piace puoi anche dirlo, non è il caso di fare scene drammatiche – ribatté calmo dopo un paio di secondi di silenzio.

- Scherzi? Questa roba spacca! Ne voglio ancora!

Indicò la memoria a bastoncino che giaceva sul ripiano lì dove la mano aveva battuto. Con l'altra ricacciò indietro i lunghi capelli tinti di un vivissimo viola spezzato da sparuti ciuffi biondi. I capelli le scesero sul viso, ribelli e ingovernabili. Sbuffò loro contro da un angolo della bocca. Inclinò poi la testa da un lato per farli penzolare lontano dal viso. L'altra metà del cranio era rasata, la corta peluria rossiccia lasciava vedere la cute bianca.

- Si può fare, ma... - iniziò l'uomo dal volto rugoso segnato dall'età e da una corta barba ormai bianca. Con pollice e indice raggiunse la minuscola memoria anonima, un tipo comune e noto per la sua compatibilità e per il prezzo popolare.

- Ennò, zio! – la ragazza fu svelta come un serpente: batté di nuovo la mano inanellata sul banco proprio sulla memoria a bastoncino sottraendola all'uomo.

- Prima – aggiunse con sguardo di sfida, china verso il negoziante più basso di lei di tutta la testa – mi devi spiegare alcune cosette!

A fatica l'uomo alzò gli occhi dalla maglietta dal collo così ampio da non lasciare dubbi sulle preferenze della ragazza in fatto di abbigliamento intimo e tatuaggi. Mancante il primo, fosforescenti gli altri.

Fissò gli occhi castani e profondi di lei resi cupi e maliziosi dal sapiente uso di trucco nero. Abile e subdola, pensò smarrendosi tra ciglia lunghe e matite nere.

- Tipo?

- Tipo... come mai non c'è traccia di questa roba sulla Rete? Nemmeno M-Shatzz ci capisce un cazzo!

A sentir nominare la celeberrima IA musicale l'uomo accennò un sorriso tra le rughe. M-Shatzz sulla Rete offriva gratis un algoritmo di riconoscimento tra i più precisi e perfezionati. Era noto a tutti e frequentatissimo dai giovani. M-Shatzz aveva accumulato informazioni per anni e anni e si vociferava che il suo database di musica avesse da tempo superato lo zettabyte. La IA stessa gestiva un paio di vocaloidi rockstar da hit-parade che tenevano concerti sia in Rete che dal vivo per i pochi privilegiati che potevano assistere.

- Beh, è musica un po' particolare e... - l'uomo tentennò un poco. Sentì la sua bocca piegarsi in un sorriso aperto e soddisfatto.

- Dai zio, falla breve: quanto vuoi per altri... trenta minuti di questa meraviglia?

La ragazza offrì la memoria stretta tra i polpastrelli di indice e pollice. Innumerevoli braccialetti risuonarono.

- Questa meraviglia non si vende a minuti come la merda cui siete abituati – si sbilanciò il commerciante. La mano tesa, il palmo solcato dalle trincee scavate in una vita. Il bastoncino anonimo vi cadde sopra senza un suono.

- Quindi? - scura in volto la ragazza drizzò la testa così bruscamente che le catenelle dei piercing alle orecchie tintinnarono.

- Quindi ti carico un album intero. Di sicuro più di trenta minuti ma tu mi paghi per trenta. D'accordo?

- Andata – ribatté subito quella senza che il dubbio si fosse spento negli occhi nocciola. Non sapeva esattamente cosa il vecchio intendesse con la parola ”album”. Lo osservò ansiosa sparire nel retro. Cercò di cogliere qualcosa del segreto che l'uomo nascondeva dietro la porticina, ma tutto ciò che i suoi avidi occhi riuscirono a vedere fu un velocissimo scorcio di uno scaffale metallico ingombro di apparecchiature. Quando tornò con la memoria stretta tra le dita lei lo squadrò colma di sospetto.

- Chi mi dice che non l'hai formattata?

L'anziano sbuffò ma si vedeva il sorriso sotto la barba. Posò la memoria sul lettore e avviò la riproduzione. Dai diffusori del piccolo negozio si riversò un torrente di note infuocate, fiamme ossidriche che ricamavano un mare di metallo fuso in tempesta, violente onde modellate a viva forza dai ritmici colpi di un maglio divino. Era un inno di battaglia, una marcia imperiosa e una musica struggente al tempo stesso. La ragazza si sorprese a seguire quel ritmo con tutto il corpo. Voleva ballare: il suo corpo lo chiedeva a gran voce, il cuore voleva balzarle dal petto e il cervello era teso solo a bearsi del ritmo, attento solo di far sì che il corpo non franasse a terra. Il commerciante non ebbe cuore di interrompere la riproduzione prima che quella raggiungesse la sua naturale conclusione.

- Sei un grande! - la ragazza si slanciò entusiasta attraverso il bancone e senza nemmeno essere tanto certa di quello che stava facendo, si aggrappò al vecchio e gli stampò un cupo bacio blu sullo zigomo ossuto. Pochi istanti dopo aveva pagato e se n'era andata via, ancora ballando sulle note che le erano rimaste scolpite nella testa. Negli occhi del vecchio negoziante restava l'ombra di lei, la maglietta troppo larga e la gonna troppo corta che mostrava le lunghe gambe e i collant bucati ad arte con le proibitissime sigarette. Una piccola scintilla di liquida, luminosa felicità brillò.


- Bella, sei sicura che il posto è questo?

Lei scostò i lunghi capelli viola che le scendevano dalla metà della testa dove aveva deciso che non li avrebbe tagliati tanto spesso.

- Bello, ti ci porto a occhi chiusi.

Il giovane si guardò intorno disinvolto e finse di aggiustarsi gli occhiali neri totalmente opachi. Era massiccio e forte, le piaceva anche per quello. Le dava sicurezza. In quel momento ne aveva davvero bisogno.

- Eccolo – disse lui cingendole le spalle con un braccio pesante inguainato in similpelle nera. Aveva un odore particolare: sostanze chimiche e alcolici, deodorante dozzinale e sesso.

Lei gettò uno sguardo oltre la strada dove sapeva che avrebbe visto il loro amico Hussein. Era quasi un bravo ragazzo, solo frequentava compagnie discutibili. Era proprio in virtù di quelle poco oneste conoscenze che loro gli avevano proposto quell'affare.

- Vado – le disse Egon sfiorandole le labbra con un bacio veloce, sciogliendo l'abbraccio.

- Aspetta! - lo afferrò per il polso un attimo prima che fosse fuori tiro. Non era più sicura. Le era sembrato tutto fantastico: dopo aver acquistato la musica si era precipitata a casa di Egon per condividere con lui la gioia. Si erano fatti di gialla insieme e l'estasi della musica si era moltiplicata cento volte sull'onda della droga sintetica che stimolava tutti i sensi al tempo stesso. Avevano fatto l'amore a ritmo: era stato bellissimo, indimenticabile.

Poi Egon aveva violato il computer del negoziante per rubargli la musica. Lei gliel'aveva detto che non era lì che il vecchio la teneva, che aveva un terminale nel retro. Ma come Egon covava la segreta speranza di poter avere altra musica, subito. Da quando era uscita dal negozietto di elettrodomestici dove si era recata il giorno prima per una innocente batteria di ricambio, il suo minipad non aveva smesso di leggere e rileggere quella musica dal bastoncino di memoria. Aveva trovato strano, sospetto il metodo di vendita: la musica si acquistava ormai dalla Rete. I contenuti andavano fruiti on-line: era merce che si acquistava a minuti. Fatta la scelta i server compilavano il brano della lunghezza richiesta e lo trasmettevano. Chi ne desiderava di nuovi avrebbe dovuto pagare altri minuti.

Per il vecchio del negozio invece la musica si divideva in brani e in album la cui lunghezza non era fissa. Era rimasta spiazzata: musica fantastica ma irriconoscibile. Mai udito prima qualcosa di simile. Lei non gli aveva creduto: certa dell'onnipotenza di M-Shatzz, aveva dato un brano in pasto alla IA che però era rimasta senza risposte. Incredibile. Aveva provato a caricarla sui pantagruelici server, ma dopo una raffica di errori mai visti il caricamento era stato annullato dal server di destinazione, il totale di byte trasferiti pari a zero.

Il vecchio aveva ragione su tutto: era musica fortissima, esattamente come piaceva a lei. I suoi amici erano impazziti tutti di felicità. Non era da nessuna parte sulla Rete. Erano sulla memoria a bastoncino e lì sarebbero rimasti, protetti da un sistema anticopia davvero efficace. Il vecchio era stato onesto e quello che loro stavano per fare invece era una vera carognata.

- Tranquilla, il più è già fatto. Ci vorrà poco.

Malvolentieri aveva accolto l'idea di rubare la musica. Troppo tardi. Sia Egon che Hussein, avendo disattivato le difese del negozio e aperto le serrature elettroniche con un attacco informatico al server del palazzo, erano già criminali agli occhi della legge.

La ragazza allentò la stretta e il suo fidanzato le scivolò via dalle mani.

Ansiosa lo seguì con gli occhi mentre entrava nell'atrio affollato anche a quell'ora tarda per via dei locali h24 e di quelli aperti solo di notte. Scomparve inghiottito dalla gente e le si tuffò il cuore.

Cercò di consolarsi accendendo il suo minipad: obbediente quello le riversò direttamente negli impianti dei timpani torrenti di note fiammeggianti, stridenti come il grido di battaglia di un esercito meccanico. I ruggiti di mille carri armati in marcia, inarrestabili.

Ma l'ansia e la paura le stringevano il cuore, rendendo insapore perfino quella speziatissima prelibatezza. Stentava a decollare con le medesime note che l'avevano messa in orbita senza fallire mai il bersaglio. Una vibrazione del suo impianto mascellare spezzò definitivamente l'incantesimo.

- Corri qui subito perché questa devi proprio vederla.

La voce di Egon, un tono che non ammetteva obiezioni. La comunicazione si interruppe subito dopo l'ultima sillaba. Il fatto che lui fosse di buona famiglia e senza problemi di denaro al punto da potersi permettere un comunicatore personale non significava che avesse denaro da spendere in secondi di conversazione inutili. Ci aveva fatto l'abitudine a quelle comunicazioni essenziali, quindi non le restava altro da fare per soddisfare la sua curiosità che muoversi. E in fretta: ogni secondo trascorso in quella condizione di illegalità palese era una spina in più nelle budella.

Quasi tremava quando in mezzo alla gente che gironzolava ovunque aprì la porta del negozietto in pieno orario di chiusura e vi entrò.

Tutto sembrava diverso. Le vetrinette buie, le luci abbassate al minimo, la cassa che mostrava solo il punto decimale lampeggiante. In quella penombra le sagome dei prodotti in vendita si sommavano tra loro dando forma a nuovi, inquietanti oggetti dalle funzioni sconosciute. Le tremavano le gambe e conosceva solo una parola per definire quello stato d'animo: paura.

“Cogliona, non ci volevi nemmeno venire qui e invece eccoti... a tremare per la fifa. È quello che ti meriti” pensò spingendo la porticina bianca che conduceva al retro del negozio.

La fredda luce azzurra dei neon cadeva sugli scaffali ingombri di oggetti tutti uguali. Accatastati uno sull'altro, disposti in file ordinate e verticali tanti piccoli astucci rettangolari di pochi millimetri di spessore. Ce n'erano migliaia, erano ovunque. Quasi ogni superficie orizzontale era gremita di questi oggetti. Astucci di plastica, coloratissimi. In un angolo c'era un portatile interfacciato con alcuni apparecchi impilati l'uno sull'altro. Sul pavimento serpeggiavano misteriosi cavi neri. Lei non ci capì nulla ma non si pose alcun problema: era evidente che quello fosse lo strumento usato per caricare la memoria a bastoncino e tanto le bastava.

- Guarda qua!

Egon si volse verso di lei. Raggiante, aveva in mano uno degli astucci. Lo aprì svelandone il contenuto. Un disco argenteo, a specchio da un lato, stampato in una delle lingue proibite dall'altro. Lei incuriosita lo staccò dal supporto stringendolo per i bordi. La superficie era perfetta e istintivamente non volle sporcarla con le proprie impronte.

- Ecco perché non si trova da nessuna parte... che cazzo di supporti sono questi?

- Oh, cazzo! - escamò Hussein chinandosi ad afferrare qualcosa sotto uno scaffale. Il tono era allarmante.

- Spiegati meglio – lo esortò Egon preoccupato.

- Meglio tipo... armi?

Il ragazzo dai capelli corti e crespi si drizzò: reggeva una custodia rigida di forma insolita. Con tutta probabilità conteneva un fucile di qualche tipo, e di discrete dimensioni.

- Apri, apri!

La ragazza non condivideva affatto l'entusiasmo per le armi. A suo modo di vedere la situazione era di colpo gravemente peggiorata. Ma quando sentì le esclamazioni dei due volle vedere lo stesso di che arma si trattava.

- E questa? Che cazzo ci fa qui? - esclamò Egon.

- Ce ne sono altre... - commentò Hussein chinandosi ancora.

Egon la estrasse dalla custodia. Lucida e brillante come appena fabbricata, un'antica chitarra elettrica in perfetto stato di conservazione. Bianca e nera, bellissima nelle sue forme tonde senza alcuno spigolo ricordava una formosa fanciulla. L'amico dalla pelle olivastra aprì un'altra custodia e ne estrasse il contenuto.

- Questa è più piccola... però ha disegnate le fiamme! È anche un po' rovinata...

- Allora questo è un basso... ma con sei corde?

Specularono un poco sugli oggetti. Ce n'erano degli altri ma il retro del negozio non offriva abbastanza spazio per poter esaminare tutti quegli straordinari reperti. Fino a quel momento avevano saputo della loro esistenza da vecchissimi filmati e da brandelli di documentazione elettronica scampati alla distruzione delle ultime guerre. La musica moderna era interamente sintetica e sempre più spesso i vocaloidi, sempre più raffinati e realistici, sostituivano i cantanti.

- Ragazzi, mettiamo via tutto e andiamocene... non possiamo stare qui tutta la notte! - la ragazza aveva deciso d'un tratto d'averne avuto abbastanza. Il tono le uscì suo malgrado a metà tra il comando e la supplica. Ma ottenne il risultato voluto: i due compagni si riscossero e rimisero tutto in ordine.

- Hai ragione – disse Egon – non siamo ladri: andiamocene via.

Lei che era entrata per ultima nell'angusto retrobottega fu la prima a uscire. Aprì lesta la porticina e fece un balzo all'indietro gridando e portandosi le braccia al petto per lo spavento.

Seduto sul bancone, volto verso di loro c'era il vecchio del negozio.

Se ne stava curvo in avanti come se un peso lo stesse schiacciando, i gomiti puntati sulle cosce e le nodose mani abbandonate tra le ginocchia. Nella destra stringeva senza troppa convinzione una pistola fletcher, la canna rivolta verso il pavimento, l'indice ben lontano dal grilletto.

- Meno male che siete voi, ragazzi. Avevo paura che ci fossero dei ladri.


Il vecchio e la sua musica, sorrise mentre volava sulle ali d'acciaio di una canzone potente come un'astronave da guerra. Immaginava le lunghe canne delle armi fare fuoco nel nero dello spazio mentre boccioli di fuoco tutto intorno fiorivano per estinguersi in pochi istanti. Musica è potenza, si disse, contenta di essere tra i pochi a saperla apprezzare. Aveva buttato nel cesso tutta la gialla che le era rimasta e aveva intimato all'incredulo Egon di fare altrettanto se non voleva trovarsi subito un'altra fidanzata.

Era solo una delle decisioni che aveva preso. Un altro grande proposito che si era posta era di non giudicare mai più qualcuno dalle apparenze. Il vecchio: aveva pensato di fotterlo, di rubargli la musica sotto il naso. Aveva pensato di poterlo fare e basta, che non ci sarebbero state conseguenze. Tanto era solo un vecchio rimbambito. Se n'era pentita subito, ma l'aveva pensato. Invece il vecchio era molto in gamba. Dopo averli pizzicati in flagranza di reato nel suo retrobottega non aveva chiamato gli sbirri. Aveva aperto uno dei mini frigoriferi che aveva in vendita, acceso e pieno di birra, e aveva offerto da bere a tutti.

Avevano chiacchierato a lungo, da amici; la pistola era finita subito in un cassetto. Si erano scusati e a lui pareva andasse bene così. Avevano parlato di musica e il vecchio aveva raccontato loro molte cose interessanti. Avevano molto in comune con quell'uomo dai capelli bianchi e la barba d'argento.

Ma soprattutto avevano la stessa passione.

“Questa musica è tutto ciò di cui ho bisogno”, e cullata tra le braccia nude del suo fidanzato aumentò il volume.


Si puntellò sulla zappa posata al suolo. Zania aveva picchiato duro per tutto il giorno, lei era in ritardo col lavoro e gli automi agricoli della cooperativa non si erano ancora visti. Il suo fisico era forte e robusto ma aveva i suoi limiti. Mentre madida di sudore riprendeva il fiato valutò con gli occhi i progressi compiuti quel giorno. I solchi non erano dritti e in diversi punti nemmeno profondi. Avrebbe dovuto ispezionarli tutti e rimediare ove necessario. Il che significava percorrere a piedi diversi kli sotto i raggi impietosi del sole e zappare di più.

Non era il lavoro a spaventarla. Stirò i muscoli irrigiditi e bevve dalla borraccia che portava appesa al cinturone degli attrezzi. Dette uno sguardo alla rassicurante sagoma della sua abitazione e, al pensiero del lungo bagno con cui avrebbe concluso la giornata, impugnata la zappa l'alzò sopra la testa e la piantò con forza nella terra.

- Grande Madre – bisbigliò a denti stretti per risparmiare il fiato – concedimi un buon raccolto... e magari anche un automa o due...

Zappò di buona lena dandosi solo brevi soste e vibrando colpi potenti, decisa a spingere l'attrezzo a una profondità sufficiente. Come spesso le succedeva, la fatica la entusiasmava: mettere alla prova la propria potenza fisica la faceva stare bene. Era orgogliosa di essere una coltivatrice: bagnare col sudore la terra, non solo in senso figurato, le dava un senso di appartenenza che la appagava tantissimo.

Un rumore lontano la fece fermare. Alzò la testa dal lavoro e drizzò la schiena muscolosa. Erano gli automi della società agricola, finalmente. Li osservò mettersi al lavoro senza indugio. Il primo cominciò lì vicino avendo giudicato il suo lavoro non sufficiente; un altro andò dritto al lato opposto del campo, quello che lei avrebbe raggiunto zappando instancabilmente solo di lì a qualche giorno. Li vide sopraggiungere coi ferri spianati: lame e dischi che avrebbero scavato e rivoltato il terreno nel modo corretto, alla giusta profondità, alla velocità migliore.

Mai troppo tardi, si disse voltando le spalle agli automi dorati, sporchi di terra e impolverati. Seliana, puoi andare a goderti l'agognato bagno, pensò soddisfatta volgendo il viso ai raggi di Zania, forti e caldi nonostante fosse ormai bassa sull'orizzonte. Si incamminò verso casa abbandonando al loro lavoro gli automi che già muggivano per lo sforzo, le luci accese e le lame affondate nel fertile terreno.

Lasciò scorrere gli occhi sulle forme tondeggianti delle tre cupole che si univano a formare la sua casa. La superficie tecnologica assorbiva la pigra luce solare per conservarla, trasformarla e restituirla a comando. Già il cielo buio si sollevava sopra l'orizzonte all'inseguimento di Zania che ostinata illuminava d'oro la campagna. Nulla si muoveva e le luci ancora non erano accese.

Proprio in quell'istante una bimba spuntò da dietro la casa. Sporca di terra fino alle ginocchia e oltre i gomiti, appena la vide cominciò a correrle incontro strillando felice “madre, madre!”. Aveva da poco superato i cinque cicli maggiori d'età ma non aveva ancora perso i tipici tratti bambineschi: le membra piene e i lineamenti tondi della fanciullezza, anche se ormai di statura era prossima ad arrivarle alla vita. Aveva di certo ereditato dalla madre la robusta costituzione e l'altezza.

Seliana allargò le braccia per accoglierla e la piccola senza frenare lo slancio le saltò al collo. Per sostenerla le mise un braccio sotto le natiche ruvide di terriccio. La bimba si aggrappò serrandosi forte ai fianchi coi talloni e Seliana la strinse al seno. Voleva farle sentire più intensamente il calore dell'affetto che le albergava nel petto e che si sprigionava tutte le volte che vedeva la piccola sorridere così.

- Madre! Sei tutta scivolosa - protestò la piccoletta pigolando con la sua acuta voce infantile. Per tutta risposta Seliana la coprì di amorevoli baci sulla testa, sulle guance e infine sul collo, soffermandosi ad assaporare con le labbra le pulsazioni dei cuoricini impazziti.

- È questo che ti ho insegnato?

Quella voce severa! Era stata preceduta dalla ben nota aura di Ezil, sorella di sangue di Seliana. Condivideva con lei gli splendidi occhi color del corallo e l'altezza, ma non certo la potenza fisica. Mentre Seliana affrontava qualsiasi lavoro a cuor leggero, Ezil si occupava della maggioranza delle faccende domestiche e dell'orto. In più badava alla piccola Juni quando la madre era nei campi. Non perdendo un'occasione per cercare di allontanarla dalla Nuova Era.

Seliana spostò lo sguardo dalla sorella che sopraggiungeva alla figlia. Quella si era scostata ma le teneva una mano sul petto, restia a interrompere il contatto fisico. Abbassò gli occhietti, intimidita.

- Su, racconta... cosa ti ha insegnato madre Ezil? - la incoraggiò con voce morbida.

La bimba accennò il broncio. Si vergognava.

- Da brava... come si saluta? - la esortò Ezil, pacata ma severa.

- Sono vostra serva, madre! - disse infine la bimba tutto d'un fiato, sbagliando l'intonazione. Era chiaro che l'aveva fatto perché spinta da Ezil e non per ragioni più sentite. Seliana non poté evitare una veloce occhiataccia alla sorella, sforzandosi di non far trasparire il suo disappunto. La figlia in braccio se ne sarebbe accorta senza dubbio.

- Che hai fatto nell'orto tutto il giorno? - la incalzò subito Seliana cambiando discorso nel tentativo di sciogliere il broncio che la piccina aveva messo. Juni si illuminò di nuovo riempendo il petto della madre di gioia e orgoglio.

- Ho visto un leymur!

- E quanto era grande? - la canzonò.

La figlioletta spalancò le braccia per indicare la dimensione massima che potesse concepire. Seliana lanciò un fugace sguardo interrogativo alla sorella che sorridente approssimava un segmento molto più modesto con le dita di una mano. I leymur erano rettili timidi e pacifici: avevano già dimostrato in passato di gradire le buone verdure faticosamente coltivate da Ezil e più volte avevano dovuto scacciarli. Il più grosso mai avvistato da lei però non era più grande di una gamba ed era fuggito a tutta velocità quando era stato scoperto a saccheggiare l'orto.

Juni si agitò, d'un tratto desiderosa di sciogliere l'abbraccio della madre. Dichiarando con entusiasmo l'intento di voler catturare un leymur corse dentro l'orto come una saetta.

- Come invidio tutta la sua energia – confessò Ezil intenerita al punto che Seliana ebbe un netto moto empatico nei suoi confronti. Per un attimo si sentì quasi una matriarca: capace di dominare emozioni e di esprimersi telepaticamente a suo piacimento. Ma sapeva bene che le capacità psi nella sua famiglia erano al lumicino.

In quel mentre il rumore di un veicolo si affiancò al monotono e lontano mugghiare degli automi della società agricola interrompendo il momento di tenerezza fra le due sorelle di sangue.

- Che seccatura questa deviazione – sbottò Ezil. Erano abituate al silenzio pressoché totale lì, in aperta campagna. A interrompere i suoni della natura c'era solo il basso ronzare degli automi e l'occasionale sorvolo di qualche velivolo militare proveniente dalla vicina base. Da diversi cicli a quella parte però la quieta strada che passava a meno di mezzo kli dall'ingresso della loro proprietà era divenuta di colpo trafficata e rumorosa a causa di lavori sull'arteria principale.

Il motore si fece più vicino rivelandosi quello di un veicolo di notevoli dimensioni. Ma a preoccupare le due sorelle di sangue fu la certezza che il veicolo era diretto lì.

Lo videro incedere maestoso lungo la strada sterrata, uscendo lentamente dall'ultima curva sollevando due ali di polvere gialla. Era enorme. Un veicolo di rappresentanza di qualche matriarcato. Aveva ruote massicce lisce al centro e col battistrada profondamente scolpito ai lati; le ruote erano montate su cerchi aerodinamici. Era già una dura prova per la loro pazienza il fatto che fosse giunto fin lì: con quelle ruote enormi, quel pesantissimo veicolo avrebbe potuto arrecar loro dei danni. Evidentemente le matriarche si sentono al di sopra anche delle buone maniere, pensò Seliana: un'onda di stizza le montava dentro. Il veicolo si fermò a pochi passi da un limite invisibile oltrepassato il quale l'invasiva presenza sarebbe divenuta un'intollerabile offesa. I portelli tardarono ad aprirsi, mossa studiata per dare tempo alle due sorelle di valutare l'aspetto del veicolo. Seliana richiamò la figlia e la tenne avanti a sé, entrambe le mani posate sulle sottili spalle di quella che irrequieta continuava a torcersi verso la madre e a fare domande.

I portelli anteriori si aprirono. Venne estesa una corta passerella che sfiorava appena il terreno polveroso e finalmente dal veicolo a ruote multiple uscì una sorella.

- Vuoi lasciar parlare me, per una volta? - sibilò Ezil appena udibile. Ardeva dal desiderio di mostrarsi degna delle inattese ospiti.

- Per la Dea, non provare ad aprire bocca se non te lo chiedo io – ringhiò di rimando Seliana a denti stretti: temeva che Ezil si sarebbe prostrata in tutto e per tutto a quelle seccatrici. Ma più di ogni altra cosa la infastiva la consapevolezza che la sorella la ritenesse inadeguata alla situazione.

- Sono vostra serva, madre.

La giovane sorella che le fronteggiava al saluto si era fermata a rispettosa distanza e le fissava inespressiva. Alle sue spalle altre sue coetanee sbarcavano dall'imponente veicolo ma senza allontanarsene.

Seliana la squadrò da capo a piedi: era certamente membro di qualche matriarcato molto importante. Non si era mai data pena di tenere a mente i tatuaggi dei matriarcati più autorevoli della zona ma quelli ostentati dalla giovane le erano del tutto nuovi. Non era di quelle parti.

Agli occhi delle due contadine la giovane era semplicemente splendida. Il fisico armonioso e perfetto, la pelle dolcemente maculata e ornata da tatuaggi finissimi e pitture corporee tra le più belle che avessero mai visto. Seliana non si curava molto della propria pelle scurita dal vigore di Zania, né badava a frivolezze come i tatuaggi. Ne aveva ben pochi: il semplice simbolo della procreazione benedetta le ornava la liscia pelle dell'inguine; con esso celebrava la nascita di Juni. Pochi semplici simboli, variazioni di quelli della dea Zaideena tatuati nelle opportune posizioni esaltavano la sua potenza fisica. Ezil era molto più attenta alla tradizione: era più tatuata della sorella maggiore e si ostinava a curare molto le proprie pitture, ma i segni che mostrava non potevano rivaleggiare nemmeno per un istante con quelli delle matriarche.

Se da un lato agli occhi della giovane le due contadine non avevano segreti, quella rimaneva un mistero imperscrutabile.

- Una visita inattesa – esordì Seliana infrangendo un paio di protocolli minori. Sentì la sorella di sangue trasalire al suo fianco ma nessun altro parve fare caso a quella piccola insolenza.

- Perdonate l'intrusione, madre. Il nostro veicolo ha un guasto al sistema di navigazione e la deviazione dalla strada principale ci ha portate fin qui. Procediamo alla cieca e tutto ciò che chiediamo sono indicazioni per raggiungere la città sicura di Anaman.

- Il vostro bel veicolo non ha problemi – le rassicurò Seliana, ma senza benevolenza né sorrisi – è la base militare qui vicino che si prende gioco dei vostri sistemi. A volte perfino gli automi agricoli risentono delle loro armi elettroniche.

Istintivamente si voltò verso le macchine che finalmente lavoravano la terra in sua vece: mugghiavano lontane, i fari accesi, indaffarate e instancabili. Avevano già lavorato un buon tratto del suo grande campo e se avessero continuato a quel ritmo avrebbe seminato il giorno dopo. Rammentò la fatica che aveva fatto per zappare qualche misero solco e un istante dopo si rese conto del proprio acre odore corporeo. Ecco che le nuove arrivate, inopportune e indesiderate, già provocavano i primi danni. Belle e profumate com'erano la stavano facendo sentire a disagio. Proprio lei che era abituata a vantarsi di faticare e sudare, lei che considerava la propria vita modesta e sincera come fonte di grande orgoglio, lei che aveva spalancato le braccia alla Nuova Era! Non poteva tradire così quel timido, tardivo segno di consapevolezza che finalmente sembrava poter scuotere e svegliare la Sorellanza intera. Pari diritti, pari doveri, fine dell'onnipotenza dei matriarcati. Questo il sogno, ancora poco condiviso, di Seliana la contadina.

- Tornate pure indietro sulla strada principale e continuate a seguirla senza mai deviare – concluse Seliana – vi porterà alla città piccola di Oushai. Lì, alla Dea piacendo, troverete un aiuto maggiore del mio.

La bella giovane parve esitare. Che avesse percepito in lei l'ardore per il lavoro? No, non lo credeva. Forse è disgustata dall'odore. O, la Dea mi perdoni, ha capito di essere poco gradita. Seliana si sforzò di chiudere il più possibile la mente pur consapevole che la giovane che stava affrontando, appartenente di certo a un matriarcato potente, avrebbe potuto spazzare via la sua misera difesa e leggerle dentro con facilità.

- La vostra gentilezza ci onora tutte, madre – Seliana riconobbe con sollievo la comune formula di commiato.

- Buona vita – rispose, restituendo come meglio poté l'aggraziato inchino che la giovane nobile le rivolse prima di tornare al veicolo dove le sue pari l'attendevano in silenzio.

- Come sono belle, madre! - cantilenò la piccola Juni tendendo le braccia verso il viso della genitrice. Seliana la issò senza sforzo e la strinse al seno. Dopo pochi istanti il veicolo delle matriarche si rimise in moto rombando cupamente e la piccola si contorse tra le braccia della madre per vederlo ripartire. Il metallo decorato finemente scintillò sotto gli ultimi raggi di Zania e sparì alla vista.

- Anch'io voglio essere come loro! - esclamò la bimbetta.

- Cosa desideri di più? - la interrogò la madre scherzosa – Essere bellissima, o essere una matriarca molto importante e avere tante cose belle come quel veicolo?

- Tutto! - rispose Juni con l'entusiasmo di cui solo i fanciulli più giovani sono capaci.

- Quando avrai avuto tutto – si intromise Ezil – che mai sarà della tua povera madre? La abbandonerai per sempre?

Incupita dalla domanda troppo adulta Juni si paralizzò, fissando su Ezil gli occhi accesi come braci. Seliana sentì bene come il tormento della difficile scelta stesse dibattendosi nella testolina della figlia, un seme troppo grande per quel vaso ancora così piccolo. Seliana fu contrariata dall'intervento della sorella e fece in modo che quella se ne accorgesse senza incertezza.

- Su, su! Manca ancora un bel po' al tempo in cui sarai anche tu cresciuta come loro.

Ma quella doveva aver ereditato dalla genitrice anche la testardaggine.

- Quanto?

- Tanto.

- Tanto quanto? - insistè la piccola carezzando i capelli della madre come faceva per farsi concedere un capriccio.

- Tantotantissimo – rispose quella scherzosa – Ora andiamo a lavarci tutte e tre insieme perché siamo coperte di terra e polvere fino agli occhi.

Camminarono fino all'abitazione che le accolse col tepore secco della stagione troppo poco piovosa. Le pareti tecnologiche conservavano gli ultimi raggi di Zania esaltando il calore che possedevano. Avrebbero fornito luce e calore a comando, alimentando i servizi offerti dalla tecnologia senza timore di esaurimento.

Fecero un lungo bagno lavandosi a vicenda e premiandosi col tocco ristoratore della spugna viva. La placida creatura con le proprie secrezioni curò la loro pelle dalle offese della furia di Zania e indusse nelle tre calma e serenità.

Mangiarono cibo stando ben attente a non esagerare in nulla per non offendere la Dea e poi, stanche per la giornata di lavoro, si ritirarono per la notte.

Seliana depose nell'alcova la piccola Juni che le si era addormentata tra le braccia poco dopo il pasto. Un sonno leggero da cui si svegliò non appena la madre l'ebbe adagiata sulle imbottiture. Si affrettò a chiuderle gli occhi appoggiandovi teneri baci, ma la piccola dispettosa si aggrappò al collo della genitrice.

- Madre – le sussurrò con voce arrochita dal sonno – devo dirti una cosa...

- Va bene, ma poi dormi senza altre discussioni.

Seliana sentì qualcosa di cupo agitarsi dentro il cuore della figlia. Doveva rassegnarsi al fatto che la piccola Juni sarebbe cresciuta e divenuta adulta. Avrebbe fatto delle scelte e, per la durezza della vita nei campi, avrebbe facilmente scelto di abbandonare la casa e la madre, ora venerata. Sarebbe tornata un giorno a bordo di un possente veicolo, mostrandosi a lei splendidamente ornata da tatuaggi finissimi e pitture deliziose? Chi poteva dirlo? Sia la volontà della Dea, concluse. Il futuro è qualcosa contro cui non si può combattere.

- Sei bellissima tantotantissimo!

Seliana sentì il petto come se stesse per scoppiare gonfio e caldo d'affetto com'era. Sentì di non essersi controllata: quando stava con la figlia non ci riusciva mai. Lesse facilmente il riflesso di tutto quel traboccante calore nella figlioletta e nella sorella Ezil che sopraggiunse subito, attratta dal bel momento.

- Adesso però dormi – cercò di sembrare severa ma dalle labbra le uscì un sussurro colmo di passione. Osservò la piccina raggomitolarsi alla ricerca della posizione migliore per il sonno: il petto quasi le doleva per la commozione.

Si ritirò subito nella sua alcova e accolse tra le braccia Ezil che le si presentò dopo pochi istanti, colma di placida gioia e splendente. Un momento così bello andava vissuto fino in fondo, con la benedizione della Dea.

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