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Sommario: Le cose si possono mettere davvero male quando una Primaria si fa sopraffare dai sentimenti! ma “a volte sono le cose più semplici a risolvere le situazioni più complicate”

Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.

Un inverno troppo lungo

La mattina risplendeva di luce, ma il sole era solo un pallido disco nel cielo limpido e nessun calore emanava da esso. La neve immacolata sembrava una morbida coltre sul terreno ghiacciato e gli alberi parevano decorati da festoni di trina. Non si udiva alcun rumore, era tutto silente come la morte. Non c’era gioia o stupore in quella mattina perché era uguale a mille altri giorni che l’avevano preceduta. Il freddo era pungente e tutto immobile. Solo una torre infrangeva quella monotonia, era bassa e grigia e disadorna. Nella stanza principale una donna era alla finestra e sorrideva crudelmente, ammirando la sua opera: non più cinguettare di uccelli, né raspare di talpe, né guaiti di volpi. Il suo sguardo si spinse fino all’orizzonte senza notare, come al solito, nessun essere vivente. Qualche ululato interruppe il silenzio, ma la donna continuò a sorridere, quelli erano Sligo e Bres i due lupi guardiani. La Strega d’Inverno si voltò e la sua immagine si riflesse su di un lungo specchio. Osservò la figura di una pallida donna ammantata di nero, poi il suo sguardo si diresse verso il suo piccolo. Era un bambino di poco più di due anni, pallido come la madre. Era nudo e sedeva su un folto tappeto davanti al camino spento. Giocava tristemente con un pezzo di legno sagomato. Non sentiva freddo. La Strega lo guardò con disprezzo perché vide in lui il padre mortale, un tagliaboschi cui si era data come una cagna, tuttavia gli si avvicinò. Provò a sollevarlo da terra, ma il bambino cominciò a piangere finché lei fu costretta a lasciarlo andare “Va bene, va bene, piccolo ingrato!” esclamò ritraendosi. La donna si sedette stancamente su uno scranno dall’alto schienale. Da quando era nato, il bambino non tollerava essere toccato dalla madre, lei non lo sopportava eppure non riusciva a darlo via, anzi tutta la sua opera era stata fatta per proteggere il piccolo. Chiamò con un fischio uno dei due lupi che si accucciò vicino al bambino e lo allattò. La Strega dell’Inverno tornò a guardare dalla finestra. Improvvisamente aguzzò gli occhi: le era sembrato che una macchia di colore avesse interrotto la sinfonia dei bianchi. Quando scorse una figura imbacuccata in panni pesanti arricciò le labbra con scherno, era un altro dei patetici tentativi del Consiglio di sedare la sua furia. La donna strinse i pugni “Non riusciranno a farmi cambiare idea” pensò con gli occhi azzurri ridotti a fessure.Heilyn si avvolse più strettamente il mantello, ma il freddo ormai le era penetrato fino alle ossa. Quanto avrebbe voluto trovarsi nella Tana! Intorno a lei c’era solo neve e silenzio. Ma a questo era abituata. Ricordava un tempo in cui l’erba era verde e punteggiata di fiori, in cui il sole era caldo, le api ronzavano, i fiumi scorrevano impetuosi e le sue protette scorrazzavano per i boschi. Ma ormai questi erano tempi passati. Heilyn guardò la bassa costruzione avanti a sé e cominciò a riflettere a come porre fine a quella situazione. Scosse il capo perché era un compito difficile, se non erano riuscite le sue sorelle a fermare Llywyd, come avrebbe potuto lei? La ragazza aggrottò la fronte. Era rimasta sbalordita quando il Consiglio l’aveva convocata chiedendole aiuto, Heylin aveva risposto che era solo una Semplice, aveva il potere di aiutare le volpi, non certo per fermare una delle Primarie, soprattutto se infuriata. Ma Elatha, la Strega d’Estate, aveva sorriso e le aveva spiegato che loro Primarie erano troppo simili per contrastare la sorella. Poi le avevano spiegato che Llywyd si era troppo compenetrata con l’inverno e, per questo, non riuscivano a fermarla. “Vedi, noi Primarie abbiamo il dovere di controllare le stagioni, ma se una di noi si fa sopraffare da una di queste non è più capace, poi, di controllarla” aveva chiarito Llyr, la Strega d’Autunno. Ma Heylin aveva ribattuto che lei era in grado di capire le anime degli esseri semplici, come le volpi, non certo quella di una Primaria. Eothail, la Strega di Primavera, allora, aveva sorriso “E’ proprio questo il segreto, forse. Vai Strega delle Volpi e salvaci”. Così lei era là, al freddo, senza alcun’idea di come sbrogliare la situazione.

Llywyd si sfregò le mani, ma aveva un’espressione seccata. Era stanca di tutte quelle pressioni, dei pianti del bambino, del gelo che aveva dentro e sospirò. Ma poi ripensò a come l’aveva trattata quel mortale e cosa le aveva fatto il Consiglio e la furia si riaccese nel suo cuore. Avrebbe fatto pesare su tutta Inis Fall la sua sofferenza! Intanto il piccolo si era addormentato, la madre lo guardò e qualcosa le si mosse dentro. Era proprio simile al padre, ma la Strega non provò disprezzo, solo una fitta di dolore. Si era innamorata di quell’uomo come mai aveva creduto possibile, lui era bello e dolce e riverente. Ma era solo un mortale e Llywyd aveva cercato di allontanarsi da lui. Non c’era riuscita, lui era sempre lì, sotto le sue finestre e lavorava al bosco, tagliando alberi, mettendo in evidenza la sua prestanza. La Strega, allora, poiché non era la sua stagione e non aveva nulla da fare, restava a guardarlo per ore, aspettando un suo sorriso. A volte scendeva a portargli qualcosa da bere e il boscaiolo s’inginocchiava nell’accettare il favore della Strega. Sapevano entrambi che il loro era un amore impossibile, eppure andarono avanti così per tutta la Primavera. Llywyd ricordava che le sorelle l’avevano messa in guardia, ma come resistere ai capelli biondi e le dolci parole del mortale? Così una calda notte d’Estate si erano amati. La Strega seppe subito che dentro il suo corpo stava avvenendo qualcosa di meraviglioso… e terribile. Quando lo aveva detto all’amante, lui le aveva riso in faccia e non ne aveva più voluto sapere di lei. Llywyd, allora, si era resa conto che quell’uomo aveva solo voluto sedurre una creatura potente come lei e che non gli importava nulla del loro bambino. La Strega era stata presa da una furia cieca e aveva cominciato ad odiare tutti i mortali. Si era rinchiusa nella sua torre e da allora non era più uscita. La Strega d’Inverno strinse le labbra e chiamò i due lupi, sapeva che nulla potevano contro le Streghe, e lasciò entrare la ragazza. Sentì i suoi passi sulle scale e poi la vide, affannata, sulla porta. Llywyd osservò la sua figura, era piccola e delicata, con un visino appuntito e una massa di capelli rossi. La Strega d’Inverno annuì, aveva capito di chi si trattava e sorrise con cattiveria: le sue sorelle erano arrivate alla disperazione per mandarle una Semplice!

La Strega delle Volpi era giunta sulla porta della stanza spoglia, davanti a lei era Llywyd con un’espressione di scherno sul volto. Heilyn cercò di riportare alla calma il respiro, poi entrò. “Cosa vuoi, Semplice?” chiese la Strega d’Inverno con tono annoiato. Heilyn cercò di assumere una posizione più dignitosa “Sono stata inviata dal Consiglio, sono Heilyn la…”
“Strega delle Volpi” terminò per lei la donna in nero. La ragazza sembrò essere sorpresa, poi ricordò che, effettivamente, il suo aspetto ricordava molto quello delle sue protette. Si ravviò i capelli e il suo sguardo cadde sul bambino. Si era appena svegliato e i suoi capelli biondi erano scomposti. La Strega d’Inverno aveva seguito il suo sguardo ed assunse una posa protettiva “So perché sei venuta e per quanto mi riguarda poi anche tornartene alla tua tana” disse. Heilyn non si lasciò turbare ma continuò ad osservare il bimbo “Dunque questo è il cucciolo, no, il piccolo di Llywyd. Umani, che lo vogliano oppure no sono sempre fonte di guai” pensò. Il piccolo sembrava infelice e la giovane Strega cercò di accarezzarlo “Non toccarlo!” scattò Llywyd bloccando la sua mano. Heilyn fece un passo indietro, turbata. Si chiese perché Llywyd non lo prendesse lei in braccio. Le due streghe si fronteggiavano con il bambino tra loro. Heilyn sapeva che il piccolo era un problema, non era mai accaduta una cosa simile. Le streghe, riunitesi in consiglio, avevano deciso che per il momento sarebbe stato meglio che il piccolo non fosse a conoscenza del suo lato magico. La Strega delle Volpi incontrò gli occhi azzurri del bambino, non era sicura che lui non capisse quello che stava accadendo. Il Consiglio aveva cercato di convincere Llywyd a dare via il piccolo, ma ella aveva rifiutato e, quando il Consiglio aveva cercato di strapparglielo con la forza, fu in quel momento che la Strega d’Inverno si era infuriata. Amore, odio: i sentimenti sono pericolosi per le streghe. Una corrente di tensione aleggiava nella stanza; la Strega delle Volpi sapeva che non aveva poteri per contrastare la sua rivale ben più forte ed aggrottò la fronte: doveva farsi venire un’idea. La Strega d’Inverno non parlava ed il silenzio pesava come una cappa, ma, d’altra parte le streghe non hanno bisogno di parlare molto. Come spinta da un ispirazione Heilyn guardò il piccolo e si chiese se avesse un nome. Quando glielo domandò, la Strega d’Inverno rispose di no, che era solo un mortale e non aveva bisogno di un nome.“Se lo disprezza tanto, perché non se ne vuole separare?” pensò Heylin e guardò il bambino ancora più attentamente, vide che era bluastro “Il tuo bambino ha freddo” disse. La Strega d’Inverno guardò la pelle rosea del figlio e sorrise “Non può avere freddo, è figlio della Strega d’Inverno” Heilyn rimase stupita, come non poteva vedere la madre ciò che vedeva lei? Poi sgranò gli occhi screziati: aveva capito! Sapeva che poteva vedere nell’anima delle creature più elementari ed un bambino, in fondo, è un essere molto semplice. In un lampo comprese quello che doveva fare. Con la sua magia evocò la figura di una piccola volpe. Era magra ed infreddolita e guaiva disperatamente. Llywyd guardò la figura con aria divertita “Se cerca di commuovermi…” ed alzò un sopracciglio con fare sarcastico. La Strega delle Volpi non perse la concentrazione, ma evocò un’altra figura. Era una volpe adulta dal manto lucente che si avvicinò al cucciolo e cominciò a leccarlo, lo nutrì e lo scaldò. La piccola volpe, allora, smise di uggiolare e si accoccolò vicino alla madre.“Molto commovente” esclamò la Strega d’Inverno, ma sentiva come una fitta dentro. “Il tuo piccolo ha freddo nell’animo, sciogli il ghiaccio nel tuo cuore, Llywyd” disse piano la ragazza accarezzando il capo del bambino. La Strega abbassò le spalle “Come faccio a scaldarlo se non vuole che lo tocchi?” chiese, sembrava che tutta la sua alterigia fosse scorsa via come acqua di un ruscello in disgelo. Heilyn aveva preso il bambino in braccio e guardò gli occhi disperati della sua avversaria, si rese conto che aveva sofferto indicibilmente, rifiutata anche da suo figlio. Parlò dolcemente “Il piccolo sente in te solo freddo, cancella l’odio e lascia che l’amore scaldi il tuo cuore” Llywyd ripensò al suo amante mortale, al Consiglio, a ciò che aveva sofferto, ma che importava? Fu come risvegliarsi da un sogno. Adesso la Strega d’Inverno vide che il suo bambino era illuminato da una specie di luce interna. Oh, come le somigliava! Il piccolo le sorrise e la Strega sentì le lacrime bagnarle le ciglia, timidamente sporse le braccia ed il bambino fece lo stesso. Heilyn sorrideva e tirò un sospiro di sollievo: a volte sono le cose più semplici a risolvere le situazioni più complicate. La Strega se ne andò silenziosamente lasciando che Llywyd cullasse amorosamente suo figlio. Quando fu fuori Heilyn sentì l’aria farsi meno pungente e un timido trillo d’usignolo. Era felice, sentiva che ormai quel lungo inverno sarebbe passato e sospettava che, d’ora in avanti, quelli successivi sarebbero stati meno duri per le sue amate volpi!

Un mago solitario rinchiuso nella sua torre, un bardo che vuole cantare ciò che nessuno ha mai cantato prima, un incontro che cambierà le loro vite.


Questa storia è arrivata quarta al contest Teatranti, girovaghi e cantastorie indetto da Alaide

Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me 


Solo una ballata

       Rimangono solo i ricordi e i sogni quando una vita è distrutta: il mago lo sa bene. La sua casa è una torre diroccata dove l'inverno vaga a suo piacimento con il suo cavaliere, il vento ulula con disprezzo, la luce non ha gioia ad entrare ed illumina l’interno solo per poco tempo, la vegetazione ama crescere e la polvere ha il suo regno. Il mago sa anche che è un intruso e per questo lascia la torre al suo silenzio: essere vivo equivale a essere fonte di rumore, non fa altro che disturbare l'arcana quiete della torre. Il suono del vento è una canzone di guerra e d'amore, lo stormire degli alberi è una dolce melodia e il ticchettio della pioggia una consolazione delle giornate solitarie. Una sera il mago è davanti alla finestra e guarda le nuvole addensarsi all'orizzonte. L’ampia stanza dove soggiorna sembra ancora più cupa e fredda del solito e spoglia: solo un tavolo massiccio al centro, qualche sedia e libri ovunque appoggiati ai freddi blocchi di pietra grigia del pavimento. L’uomo si volta verso il camino dove il fuoco langue, ormai la legna è quasi tutta consumata. Il mago osserva per un momento i libri ma qualcosa dentro di sé lo trattiene: non può, non deve toccarli. Il mago sospira e torna a guardare la finestra.
            Non filtra molta luce dalle fronde degli alberi ed il cielo si sta incupendo. La ragazza accelera il passo, i suoi capelli rosso rame crepitano e ondeggiano tanto che ormai non tenta nemmeno di dargli una forma, sembra che vivano di una vita propria. La ragazza sospira ma non rallenta l'andatura sebbene sia stanca. Quanta strada ha fatto fino ad allora? Molta: ha attraversato una città, poi un villaggio ed un altro e ancora una città ed infine la foresta. Improvvisamente sente una goccia striarle una guancia poi un'altra colpire una mano ed infine le nuvole lasciano andare tutto il loro carico e l'acqua inizia a scorrere a fiumi infradiciando la ragazza fino alle ossa. Impreca ad alta voce e si mette a correre. In lontananza può scorgere una torre diroccata, se riuscisse a non affogare prima forse potrebbe raggiungerla prima di notte.
            Le gocce cominciano a striare il vetro della finestra sempre più fittamente finché la visibilità diviene nulla. Solo in quel momento il mago si allontana facendo strusciare la lunga veste blu scuro e si siede davanti al fuoco, stringendosi la veste addosso e protendendo le mani verso il calore. Il fuoco sembra resuscitare quando ha in pasto un altro ciocco di legna. Il cappuccio scivola indietro lasciando intravedere i capelli argentati mentre gli occhi mandano bagliori sinistri. Il mago è così concentrato che non sente battere alla porta, solo quando ode una voce femminile si riscuote dalle proprie riflessioni e con una punta di inquietudine va ad aprire il pesante portone che tiene sempre sprangato. Si trova davanti una ragazza bagnata come un pulcino dai capelli simili a fili di rame intrecciati che crepitano e si gonfiano quasi come una criniera. 
            - Ti ringrazio, mio signore! 
Ringrazia la ragazza non appena entrata guardando con curiosità l'uomo che le è davanti. A prima vista ha creduto molto più vecchio per via dell'incredibile colore dei capelli, si guarda intorno notando la povertà della stanza e le robuste travi di legno del soffitto che lasciano cadere qualche goccia qua e là. Il mago notando l’esame della ragazza le chiede se qualcosa non andasse 
            - Mi chiedevo solo dove avrei potuto dormire. 
risponde lei 
            - Di questo non preoccuparti, ci penseremo dopo. 
la rassicura il mago trafficando con un paiolo.
            - Stai preparando una pozione?
            - No, solo un po’ di zuppa - il mago sorride - devi avere freddo, sei tutta bagnata. Vieni più vicino al fuoco!
Mentre si china per poggiare la grossa pentola, il mago ha una visione delle gambe della sua ospite, distoglie in fretta lo sguardo e continua:
            - Hai anche un nome? Io sono Zaedan.
La giovane donna ingoia qualche cucchiaiata della zuppa così in fretta da scottarsi la lingua. Al mago scappa un mezzo sorriso. Quando riesce a trovare la voce la ragazza afferma di chiamarsi Nyala
            - Cosa ci fa un mago qui, tutto solo? A Conakry c'è un grosso raduno, non lo sapevi?
            - Si, lo sapevo. E, comunque, cosa ci fa una ragazza tutta sola in mezzo ad una foresta?
            - Viaggio.
risponde Nyala con un'alzata di spalle mentre Zaedan le versa un altro po’ di zuppa nella ciotola. 
            - Viaggi, ma da dove a dove? 
chiede sedendosi a sua volta. 
            - Vengo da un luogo e sto andando verso un altro. Tutto qua. 
la ragazza lo guarda di sottecchi mentre ingoia una cucchiaiata di zuppa. 
            - Questa foresta non è sul tragitto delle strade più frequentate. Dì un po’ –
Zaedan si sporge verso la ragazza - stai scappando da qualcuno?
Non sa perché sia così interessato a quello che ha da dirle la ragazza, forse è il bisogno di parlare con un altro essere umano dopo tutta quella solitudine in cui si è rifugiato e che è finita per diventare la sua prigione. O forse  a causa di quei incredibili capelli o dei suoi occhi screziati. Improvvisamente avverte il bisogno di toccarla e solo con un grande sforzo riesce a dominarsi e costringersi a restare impassibile. Nyala non risponde subito ma quando alza la testa sul suo volto appare un'espressione sicura  e determinata 
            - Non sto scappando, voglio solo seguire le vie più nascoste per conoscere ciò che non ha visto mai nessuno. E' nella mia natura: sono un bardo, una degli ultimi. 
            - Perché non mi fai ascoltare una delle tue ballate? 
Propone Zaedan sempre più stregato dagli occhi di Nyala che estrae dal suo sacco un involto di pelle di daino. Dentro c'è una cetra di legno chiaro e lucido, quasi bianco, che manda bagliori. Su tutta la sua superficie sono incise delle rune: un incantesimo per conservare la cetra e per accordarla con il musicista. Nyala accarezza nervosamente il legno.
            - Va bene. Cosa...cosa vuoi ascoltare?
            - Quello che vuoi
La ragazza comincia a pizzicare le corde quasi accarezzandole. La cetra vibra  tanto che sembra vivere nelle sue mani. La musica ha una tonalità strana, a volte metallica, a volte sussurrante. Dopo pochi accordi Nyala si ferma: le tremano le mani. Guarda Zaedan che l'osserva attentamente sorridendole. I suoi occhi sono di un azzurro metallico, freddi ma profondi. Nyala si sente risucchiata da quegli occhi, sempre più giù, in un abisso. Le corde della cetra vibrano quasi per darle un avvertimento e la ragazza, accorgendosene, si strappa a fatica da quell'abisso e barcolla. Zaedan le stringe una mano e Nyala si calma un poco e sorride. Ricomincia a suonare la cetra: i tuoni fanno da contrappunto alla musica che vaga per la stanza, arriva fino al soffitto e poi ricade giù ed entra nelle ossa facendole vibrare. Zaedan si rende conto di sentire la musica non solo con l'udito ma con l'intero corpo ed aspetta con impazienza di udire la voce di Nyala. Si chiede come sia: acuta, roca, squillante o profonda. Quando Nyala comincia a cantare il mago capisce che è tutte queste cose a seconda delle parole che pronuncia. La musica è come un incantesimo che lo avvince a poco a poco:

S'addensano le tenebre all'orizzonte, 
stracci di nuvole striano il cielo,
il vento ulula come una torma di cavalieri,
scuote gli esili tronchi, 
spazza l'erica di brughiera, 
solleva spruzzi e onde dal mare lontano. 
I Cavalieri del Vento s'avvicinano urlando, 
sui bianchi destrieri lanciati al galoppo, 
gli occhi sbarrati, la bava alla bocca, 
gli zoccoli scalpitanti di scintille. 
In lontananza, il Drago d'Occidente, 
dalle scaglie dorate e lucenti, 
rimane accucciato tra brughiera e cielo, 
placido,non un muscolo si muove, 
le lance dei cavalieri lo penetrano, 
un urlo lacera la sera 
ed il sangue del drago tinge il cielo. 
Anche questa sera il rito s'è compiuto. 
I cavalieri soddisfatti vanno via, 
il vento all'improvviso cade, 
in cielo le stelle s'accendono. 


            Quando la ballata termina la tensione cala di colpo come un panno scuro, il silenzio è assoluto, le rocce non vibrano più, si sente solo il crepitio sommesso del fuoco e il tambureggiare della pioggia. 
            - Canta ancora. 
supplica Zaedan e Nyala ricomincia. Nuovamente nella sala la tensione si fa quasi insopportabilmente alta e di nuovo la musica penetra nelle ossa facendole vibrare. Quando anche questa canzone finisce Nyala ripone la cetra nel suo panno. 
            - Io ti ho fatto vedere il mio dono... 
e il resto della frase resta come sospeso tra loro, Nyala vorrebbe che il mago le desse una dimostrazione del suo potere. Non sa perché le importi tanto, è affascinata e turbata da quell’uomo. Non riesce a comprendere per quale motivo abbia rifiutato la magia, la stessa condizione della sua esistenza. 
Il volto del mago cambia visibilmente, si fa tormentato, come se qualcosa dentro di lui  stia per spezzarsi ed il suo sguardo, quando lo alza verso di lei è disperato
            Zaedan scuote il capo. Di nuovo gli unici suoni nella torre sono quelli del fuoco e della pioggia. Il mago guarda Nyala che sembra aspettare, forse comprende quello che prova, in fondo magia e musica non sono poi tanto diverse. 
            - Non so - risponde infine sospirando - ho rinnegato la mia natura, dove può arrivare la mia ostinazione? 
sembra parlare più a se stesso. Nyala lo lascia fare senza interromperlo 
            - E' come se tu decidessi di non cantare più e poi ci riprovassi dopo tanto tempo. Capisci? 
Nyala fa cenno di si ma non può immaginare la sua vita senza il suono della cetra, l'ha sentito dalla sua nascita e ad ogni occasione importante della sua vita.
            - Ma perché? 
si arrischia a chiedere. Zaedan contrae le dita e goccioline di sudore imperlano la sua fronte. 
            - E' per qualcosa di così orribile che non voglio ricordare, posso solo espiare. 
Risponde infine stentatamente e Nyala comprende che quell'uomo ha la vita spezzata e che ha commesso, o crede di aver commesso, un delitto così grave per il quale punirsi e quale pena più severa per un mago se non quella di rinunciare al potere?
Decide di non fare altre domande, il tempo guarirà le sue ferite o lo farà cadere nell'oblio. Però c'è qualcosa in Nyala che non la trattiene dal chiedere: 
            - Resterai in questa torre per quanto tempo? 
Zaedan si alza per attizzare il fuoco e risponde dal fondo del cappuccio:
            - Finché non avrò espiato. 
ma le sue spalle sono curve e la voce incrinata. Nyala lo può quasi vedere mentre lancia un incantesimo: la fronte corrugata, gli occhi che mandano bagliori, le mani che si muovono sempre più veloci, la veste che si gonfia e i capelli che ondeggiano. La scena le sembra così credibile che per un momento crede che sia vera, ma quando si riscuote da quel sogno ad occhi aperti vede solo un uomo distrutto:
            - Hai visto com'ero. 
Le spiega semplicemente. Poi scompare nell'altra stanza. Nyala alza le spalle, è così stanca che non le importa più niente. Bussa piano alla porta. Quando questa si apre chiede: 
            - Ho sonno, dove posso dormire?
            - Nel mio letto, io starò qui. 
mentre Zaedan si scansa per indicare la camera, Nyala nota che è più piccola e, se possibile, ancora più spoglia di quell'altra. C'è solo una fiammella e un pagliericcio 
            - Riposa bene cantore, perché non sai quando potrai trovare un altro letto.

            La pioggia ha cessato di cadere e Nyala è addormentata profondamente quando qualcosa turba il suo sonno. Con fatica apre un occhio. Il mago è accanto a lei e la guarda come un animale supplicante e disperato. In mano ha un bastone ricoperto di rune d'argento che emette una luce azzurrognola. Nyala sussulta e la luce si spegne.
            - Non avere paura, ti prego! 
esclama Zaedan: 
            - Volevo solo guardarti dormire. 
e la luce si riaccende. 
            - Strano modo di passare il tempo! 
risponde Nyala alzandosi. Fuori comincia ad albeggiare ed è tempo di andare. Zaedan comprende; la prende per un braccio: 
            - Resta con me! 
supplica, rendendosi conto egli stesso dell'impossibilità e della pazzia della proposta. Nyala scuote il capo: 
            - Non posso: è nella mia natura viaggiare, come è nella tua restare qui. 
E nel dirlo qualcosa nel suo cuore s’incrina. Vorrebbe chiedergli di accompagnarla ma sa che lui è troppo legato a quel luogo. Zaedan abbassa il capo, Nyala sente una lacrima bagnarle le ciglia. 
Non hanno fatto né detto nulla ma le loro nature, seppure così diverse, si sono incontrate e comprese completamente. Nyala non può fare altro che cantare: una canzone che parla di un mago tormentato in una torre diroccata e di un bardo dai capelli di rame che viaggia per il mondo in cerca di ciò che non ha visto mai nessuno. Zaedan le prende la mano mentre Nyala promette: 
            - Questa ballata è solo nostra, non la canterò mai più. Un giorno tornerò, mi aspetterai? 
            - Si: ricorderò queste parole ogni giorno della mia vita…fino a quando tornerai. 
La bacia sulla fronte. Mentre cammina, Nyala continua a voltarsi indietro finché non vede altro che gli alberi e il cielo della mattina.

Le riflessioni di un Omino di marzapane alle prese col suo primo Natale.


Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.



Il primo Natale non si scorda mai
 
            


Omino di panpepato guardò estasiato sotto di sé: quella marea di pacchetti rossi e gialli e verdi, con tutti quei fiocchi e nastri, erano una visione da mozzare il fiato. 
E in quel preciso istante dimenticò i disagi, il fatto che gli aghi appuntiti dell’albero gli facessero il solletico ad ogni movimento o che avesse una lucina piantata proprio vicino ad un occhio. Gli aveva provocato una o due convulsioni nei giorni scorsi. 
Omino sospirò di contentezza, ne era valsa la pena, senza dubbio. Quando gli avevano comunicato che quell’anno sarebbe partito con i fratelli alla conquista dell’Albero quasi era stato troppo incredulo per gioire veramente. Ricordò il dolore lancinante quando gli avevano forato il capo per applicargli il nastrino rosso, a volte ancora gli faceva male la testa. Ma poi l’emozione di essere appeso aveva sommerso tutto: era così che doveva essere, glielo avevano raccontato e lui non ci aveva creduto, ma ora era lì col sorriso di glassa un po’ sbilenco stampato sul volto, felice e fiero. 
Era talmente concentrato sulla propria gioia orgogliosa che non si rese conto della mano che lo divelse dalla sua posizione. Ebbe solo il tempo d’intravedere un’ombra su di sé mentre una bocca enorme gli staccava la testa in un tripudio di briciole e glassa rossa. 

- Hey Gladys, hai visto? Se n’è appena andato il primo.

Esclamò una pallina dorata rivolta alla sua compagna panciuta:

- Stupidi novellini, non imparano mai che conviene stare nascosti!

Una Dama. Una guerra. Il suo nemico e un destino da compiere.



Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.


Immobile accanto alla finestra guardava quello che una volta era stato il suo regno. Dove un tempo si estendevano a perdita d’occhio campi verdi e gialli, ora si allargava una distesa di brulla terra rivoltata. L’aria era offuscata dal fumo dei centinaia d’incendi serviti a cancellare i numerosi, piccoli villaggi che punteggiavano le sue terre. 

La Dama osservava con sguardo corrucciato, strinse le labbra, livide contro la pelle esangue del viso. I capelli corvini scendevano in onde scomposte sulla veste bianca, ormai lisa. Chiuse gli occhi appoggiandosi alla fredda pietra. Si chiese quanto ancora il suo orgoglio e la sua stoltezza avrebbero potuto sostenerla in quella folle guerra. 

Erano in stallo da tanto tempo, due paesi un tempo ricchi potevano vantare, ora, solo popolazione affamata, torri diroccate ed eserciti cenciosi che continuavano a scontrarsi l’uno contro l’altro con una insensatezza pari solo a quella dei propri governanti. Con stizza allontanò quei pensieri. Aveva sfidato il Negromante, con tutto il coraggio della disperazione. Non avrebbero avuto mai né pace né integrità se non avesse annientato la sua brama che di giorno in giorno cresceva più impaziente e brutale che mai. 

Un rumore di passi la indusse a riaprire gli occhi. 

- Mia Signora… 

La Dama si voltò, un uomo l’aveva raggiunta: sporco e lacero, sembrava esausto. La donna provò un moto di tenerezza verso il suo valoroso Capitano. Un lieve sorriso le increspò le labbra. Non portava buone notizie. 

 - La Torre Bianca è caduta. Non rimane che una squadra di cavalieri e pochi fanti. 

L’uomo aveva abbassato gli occhi, tutto in lui parlava di sconfitta. La Dama si avvicinò di un passo. 

- Così…è arrivato il mio momento. 

Il Capitano rialzò il viso, c’erano rammarico e paura nei suoi occhi scuri. Le prese le mani tra le sue. La donna gli sorrise dolcemente, il suo viso sembrava risplendere di una luce soffusa. 

- Sono le regole del gioco, è il mio destino. Non posso rimanere nascosta qui, quando è mio dovere fare la mia parte. 

Era questo ciò a cui tutto si riduceva, alla fine. Un ultimo inesorabile cimento, lo scontro finale tra la Bianca Regina e il Negromante. Il Capitano comprese, l’aveva sempre saputo e aveva fatto di tutto per evitarle quella sorte. Attirò la sua dama contro il petto tenendola stretta per un tempo che sembrò indefinito.

Più tardi, dopo aver elaborato un estremo, disperato piano di battaglia, dopo che il Capitano si era accomiatato con un ultimo bacio, la Dama si era fermata accanto al talamo. 

Tirò la cortina di mussola finissima e guardò con tenerezza il suo Re. Dormiva, i riccioli chiari, quasi bianchi, erano sparsi disordinati sul cuscino, le ciglia tremolavano impercettibilmente. Stava sognando. Mugolò. 

La donna lo prese in braccio, lo strinse al cuore. Il suo Re, il suo bambino, l’avrebbe difeso a costo della morte. 

Pensò con cautela le parole magiche che avrebbe scagliato contro il Negromante, per far finire tutta quella follia. Le salirono alle labbra con un singulto. 

- Shamat. - mormorò piano.

Una scienziata e il suo esperimento...




Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
 


Linda guardò stanca il grande orologio appeso al muro del laboratorio: le sette meno un quarto. Sospirò infelice. Si massaggiò la nuca dolorante ed osservò al di là del vetro l’oggetto dei suoi studi. Invece di eseguire l’esercizio che le era stato assegnato si era distratta di nuovo e Linda imprecò dentro di sé, poi la incitò a bassa voce certa che non potesse sentirla nella sua stanza: 


- Coraggio, Matilda: un piccolo sforzo e ce ne possiamo andare tutti a casa!


Guardò gli appunti: la piccola era andata bene fino a quel momento, per la sua età era ben sviluppata e con buone capacità cognitive, ma tendeva a distrarsi, non finiva gli esercizi e per questo era un po’ indietro rispetto agli altri. Linda aveva scelto di studiare Matilda perché, nonostante tutto, le era sembrata sveglia ed estroversa e quando riusciva a rimanere concentrata era capace di trovare delle soluzioni brillanti ai problemi che le mettevano di fronte. 

Per questo la ricercatrice aveva tanto a cuore quel progetto e in quel momento si trovava in laboratorio invece che a casa con la sua bambina. Dall'altra parte del vetro Matilda aveva ripreso ad interessarsi alla scatola, la studiava, la smuoveva: sapeva che dentro c’era un premio e che per prenderlo avrebbe dovuto aprirla, ma non sapeva come fare. Urlò la sua frustrazione e corse da una parte all'altra della stanza mulinando gli arti superiori. 

Linda osservava e intanto pensava a Bea, la sua bambina, che aveva la stessa età di Matilda:due anni e mezzo. Entrambe sapevano camminare, pulirsi (Bea aveva ancora qualche problema col vasino) e mangiare da sole. Ma a differenza di sua figlia Matilda non avrebbe mai imparato a parlare o a vestirsi ed era per questo che c’era lei dietro al vetro e non sua figlia! Linda sorrise, sapeva che se ci fosse stata Bea là dentro avrebbe rinunciato molto prima e si sarebbe accovacciata in un angolo a piagnucolare, invece Matilda era testarda, ostinata. Poteva intravedere il premio dentro alla scatola e aveva deciso che lo voleva ed erano ore che lavorava su come poter raggiungere il suo scopo. 

La ricercatrice era fiera di lei e nello stesso modo ostinato restava a guardare i suoi sforzi nonostante fosse stanca e desiderasse andare a casa: perché la piccola meritava tutta la sua attenzione. 

In quel momento Matilda lanciò un altro urlo e scagliò la scatola contro il muro, Linda ebbe un moto di disappunto: non era la soluzione originale che si era aspettata e sapeva che per quanto Matilda continuasse a lanciare la scatola, questa non si sarebbe aperta a suo beneficio. Doveva pensare a qualcos'altro. Matilda sembrava infuriata, urlava, correva, tornava alla scatola e di nuovo la lanciava. Linda sapeva che quel momento di frustrazione le sarebbe passato presto, che non aveva altro modo per sfogare l’insoddisfazione che stava provando. Dopo altri strilli finalmente Matilda si calmò, si accovacciò accanto alla scatola un po’ ammaccata e cominciò ad osservarla attentamente. 

Linda si sporse in avanti, negli occhi di Matilda colse un barlume di consapevolezza, poteva quasi sentire gli ingranaggi del suo cervello girare e girare fino ad incastrarsi perfettamente l’un con l’altro nel trovare la soluzione del problema. Con dita goffe Matilda stava muovendo il coperchio della scatola: aveva già provato a sollevarlo senza riuscirvi, ma provò di nuovo. Il coperchio non si mosse, lo spinse verso il basso e la scatola scricchiolò. Matilda lasciò la presa e si grattò il capo, mugolando. Poi provò a tirare verso di sé il coperchio, ma quello di nuovo rimase al suo posto e allora tentò a spingerlo: un altro scricchiolio. 

Linda la osservava attentissima: sapeva che la soluzione era tutt'altro che facile, i movimenti da compiere per aprire il contenitore erano complessi e nessuno degli altri soggetti studiati era ancora riuscito a risolvere il problema. Matilda emise un verso di frustrazione e aggirò la scatola, poi vi si sedette di nuovo accanto, con lentezza spinse verso il basso il coperchio e poi lo tirò verso di sé: con un clic la scatola si aprì. 

Linda sorrise e fece un gesto di vittoria, era un risultato eccellente! Sapeva che Matilda ci sarebbe riuscita, si sentì gonfia di orgoglio ed entusiasmo: era valsa la pena aspettare tutto quel tempo. Finalmente Matilda aveva il suo premio, con entusiasmo roteò per la stanza ed allargò le labbra a mostrare i grossi denti con un verso di soddisfazione. 

Poi il piccolo scimpanzé si accovacciò in un angolo e cominciò a mangiare la sua banana.

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